Claudia Filipetta (Psicologi per i Popoli): dopo paura, rabbia e tristezza, le persone attivano nuovi processi adattativi. Bene le reti sociali, mai restare soli

Prima l’allarme evacuazione e la fuga dalla propria abitazione, portando con sé poche cose care. Poi la paura per quello che sarebbe potuto accadere o il terrore per ciò che stava avvenendo di fronte ai propri occhi: la furia dell’acqua che invade ogni cosa. È quanto hanno vissuto tanti romagnoli nei giorni dell’alluvione. Ora c’è chi è tornato nella propria abitazione, altri no, vivono da parenti e amici o nelle strutture organizzate dalla Protezione Civile, e non sanno se e quando potranno tornare a casa. Sembra un incubo. In poche ora, la vita di migliaia di persone è stata messa sottosopra.

L’alluvione di maggio 2023 resterà nel ricordo di tutti i Romagnoli. Ora è una ferita aperta. Una ferita che lentamente si dovrà cicatrizzare. Per evitare che le ripercussioni psicologiche possano trasformarsi in “Traumi” è stato attivato, fin dalle prime ore dell’emergenza, un servizio di supporto psicologico, organizzato dalla Regione Emilia Romagna in accordo con la Protezione Civile, proprio per fornire assistenza alle persone colpite dall’alluvione. Una squadra di 123 professionisti provenienti dall’intera Emilia-Romagna, con specifiche competenze nella gestione dell’emergenza, sono a disposizione di tutti coloro che ne hanno avuto bisogno: persone nei centri di accoglienza, volontari e semplici cittadini.

La dott.ssa Claudia Filipetta fa parte di Psicologi per i Popoli Emilia-Romagna (http://www.psicologiperipopoli.it/), associazione di volontariato costituita nel 1999 proprio per intervenire in situazioni di emergenza in ambito nazionale ed internazionale, e assieme ad altri colleghi è attiva dalle prime ore dell’alluvione. Con lei, operativa in queste settimane a Solarolo e a Forlì, abbiamo cercato di capire le emozioni e i pensieri spiacevoli che un evento catastrofico come l’alluvione può scatenare e quali siano le possibili strategie da mettere in atto per superarle.

“L’alluvione è un evento capace di provocare uno stress psicologico duraturo nel tempo: l’imprevedibilità e la repentinità di questo evento fa sì che venga iscritto tra quelli potenzialmente traumatici – spiega la psicologa -. Le reazioni di ciascuna persona possono essere differenti: si possono sperimentare emozioni di paura, rabbia, senso di colpa e tristezza. Ma anche vergogna, disorientamento, ansia. Possono riaffiorare ricordi o flashback, immagini dell’evento che si accompagnano ad un forte senso di disagio. Dopo un evento come questo si possono avere difficoltà a dormire, incubi notturni, inappetenza ma anche un apparente distacco dall’evento”.

Filipetta evidenzia che “è importante sottolineare come queste emozioni siano normali, di fronte ad una situazione che ha caratteristiche straordinarie e che ha sconvolto in maniera determinante la vita delle persone”.

E proprio per evitare che questo impatto stressante possa trasformarsi in trauma, gli psicologi dell’emergenza intervengono seguendo “I criteri di massima sugli interventi psicosociali nelle catastrofi” e le linee guida internazionali IASC che fanno leva su fattori di adattamento delle persone e delle comunità. “Si opera su piccoli gruppi di popolazione, ma anche con i soccorritori o i membri delle amministrazioni locali. L’obiettivo primario in questi casi è stimolare i fattori di resilienza e di coping per  sostenere la ripresa e il ripristino della normalità. Ovviamente parliamo di “una normalità” che non sarà la stessa di prima dell’impatto, ma una normalità nuova. È essenziale che l’evento calamitoso venga integrato e non negato. Quindi è importante che sia accolto e condiviso”.

“Infatti una delle cose che suggeriamo è quella di non isolarsi, ma di mantenere attive le reti sociali, personali e familiari – prosegue -. Consigliamo, per quanto possibile, di ripristinare i ritmi, le abitudini quotidiane, la cura di sé, cercando anche di riposare”.

La psicologa sottolinea che “in queste situazioni di emergenza è importante intervenire in primis sulle fasce fragili, come i minori, gli anziani, i disabili per evitare che sviluppino situazioni patologiche, con effetti più forti e più duraturi nella psiche e rilevabili solo a distanza di settimane o mesi dall’evento. In questo senso noi lavoriamo proprio intervenendo a livello preventivo”.

Filipetta assicura: “Quando si verificano eventi disastrosi come alluvioni, terremoti, ecc.., le persone reagiscono con processi adattativi (coping e resilienza) e mettono in campo risorse personali e collettive che non avevano immaginato di avere“.

Il supporto degli psicologi dell’emergenza si basa sulle linee guida che seguono protocolli internazionali, secondo le direttive dell’Inter-Agency Standing Committee (IASC): “È importante operare con un approccio psicosociale, per ripristinare il benessere delle comunità e dei gruppi. Quindi non usiamo un approccio clinico, come quello che si usa in studio, ma lavoriamo sui gruppi e sulla popolazione. Gruppi omogenei, come genitori, insegnanti, amministratori o soccorritori, e con loro ripercorriamo le emozioni, i pensieri e l’evento dando indicazioni psicoeducative su come superare questo momento”.

Filipetta spiega: “In psicologia dell’emergenza si distinguono diversi tipi di vittime: c’è la vittima di primo tipo, cioè chi subisce direttamente l’impatto; ci sono le vittime di secondo tipo come i soccorritori, che rischiano di sperimentare il cosiddetto trauma vicario. Poi ci sono le vittime di terzo tipo, persone che per fragilità psicologica pregressa possono sviluppare dei disturbi psicologici, anche solo venendo a conoscenza dell’evento. Proprio per questo, noi suggeriamo, ad esempio, di proteggere se stessi e i minori da ripetuti racconti particolarmente drammatici o da un’eccessiva esposizione ai mass media”.

La psicologa conclude: “È importante condividere la propria esperienza e non negare o reprimere le emozioni, i pensieri e il vissuto. Inoltre, bisogna tener presente che non c’è un tempo stabilito per elaborare questi momenti critici. Ognuno ha il proprio tempo personale”.

Claudia Filipetta
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