Sentenza sull’assassinio di Khadra: “Siamo sgomente”

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sabato 24 marzo 2007

Sulla condanna a vent’anni di carcere del tunisino Hamma Hassen Sliti, che un anno fa ammazzò la moglie Khadra Tahallaiti, intervengono Alessandra Bagnara, presidente di Linea Rosa, e gli assessori comunale e provinciale alle Pari Opportunità, Giovanna Piaia e Nadia Simoni.
"Il 3 marzo 2006 avevamo pubblicamente, in un comunicato stampa, ringraziato le Forze dell’Ordine per avere assicurato alla giustizia l’uomo che aveva assassinato Khadra. Oggi siamo qui a chiederci quale giustizia???? L’uomo che ha assassinato Khadra è stato condannato a 20 anni e non è stata riconosciuta dal pm la premeditazione".

"Probabilmente – aggiungono Bagnara, Piaia e Simoni – per la cittadinanza una pena a 20 anni può sembrare esemplare, noi, che quotidianamente siamo impegnate nel contrasto della violenza sulle donne non condividiamo questo giudizio.
Ultimamente sempre più spesso abbiamo sentito parlare del problema della violenza alle donne come di un’ “emergenza”. Generalmente però questo accade solo in concomitanza con omicidi (sempre troppi ed ultimamente sempre più frequenti).
Sempre in queste occasioni si sente a più voci emergere la richiesta di modifiche delle leggi o di pene più severe.
Ma perché allora quando già queste sono previste non si applicano? Perché nel caso specifico di questa donna che per anni aveva lottato con tutte le sue forze, senza mai pensare a strumenti di difesa non previsti dalla legge, non è stata richiesta la pena esemplare dell’ergastolo, prevista dal nostro ordinamento giuridico per chi con premeditazione commette un omicidio??
Perché non è stata riconosciuta la premeditazione in una situazione di continue persecuzioni, violenze e minacce di morte?".

"Khadra aveva sempre denunciato alle forze dell’ordine i maltrattamenti e le violenze fisiche e psicologiche subite. Negli ultimi giorni, prima di essere uccisa, anche le minacce di morte. Khadra si era affidata alla giustizia ed ai suoi tutori.
Lo diciamo da sempre e lo ribadiamo oggi ancora una volta, non si devono inventare nuove leggi o pene più severe, ma applicare quelle che già esistono – è la cultura e la mentalità che devono modificarsi”.

"Siamo sgomente, perché di fronte a simili epiloghi ci chiediamo cosa possiamo fare? Cosa le donne possono fare per tutelarsi e soprattutto per vedere riconosciuti i propri diritti.
Per chi lavora nei Centri Antiviolenza è quotidiano sentire donne che raccontano di un’escalation di violenze e purtroppo sappiamo bene che gli omicidi avvengono più frequentemente da parte degli ex dopo che le persecuzioni e le minacce non hanno sortito l’effetto di fare ritornare sui propri passi la donna".

"Ci aspettavamo una condanna che potesse essere di monito per tutti coloro che in futuro avrebbero potuto pensare di compiere simili gesti. Una sentenza che tenesse conto della gravità della situazione e delle continue, periodiche e sempre maggiori violenze che la donna e le persone a lei vicine, fra le quali la figlia minorenne, avevano subito. Una sentenza che rendesse realmente giustizia alla donna che proprio un anno fa è morta ed ai familiari che sono rimasti".

"Ancora una volta non possiamo non leggere il messaggio implicito che ci viene lanciato, di scarsa tutela ed attenzione alle donne che subiscono violenza e che vengono uccise. Ancora una volta, però, questo episodio ci porta con forza a proseguire le attività e le politiche di contrasto alla violenza sulle donne a livello locale, regionale e nazionale affinché simili reati possano essere puniti con pene esemplari come quelle previste dal codice penale".

(Nella foto, KhadraTahallaiti)

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