L’omicidio di Camilla Aucellio per mano del riolese Claudio Bertazzoli ad “Amore criminale”, RaiTre

L'assassinio, commesso con 46 colpi di martello e di forbici, risale al 2011. Lei aveva 35 anni, lui dieci di più e insieme avevano una bimba di due anni e mezzo. L'uomo fu condannato a 16 anni di carcere

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L’assassinio con 46 colpi di martello e di forbici di Camilla Auciello di 35 anni avvenuto il 2 aprile 2011 a Baricella (Bologna) per mano del compagno Claudio Bertazzoli, carabiniere di Riolo Terme, sarà al centro della puntata di lunedì 19 ottobre della trasmissione di RaiTre “Amore Criminale“. Andrà infatti in onda una docu-fiction dedicata all’efferato delitto.

Bertazzoli, 46 anni all’epoca dei fatti, è stato condannato nel 2012, con rito abbreviato, a 16 anni di reclusione.

Riportiamo la cronaca del delitto così come raccontata dal giornalista bolognese Giuseppe Centonze.

Camilla Auciello, nativa di Acquaviva delle Fonti (BA), si era trsferita a Bologna per amore e dopo un primo matrimonio naufragato, nel 2007, mentre serve ai tavoli della mensa dei Carabinieri di Via Agucchi, conosce l’appuntato Claudio Bertazzoli, 45 anni, 10 più di lei.

I due vanno a vivere insieme in una villetta a Baricella e nel luglio 2008 nasce Alessia.

Il rapporto della coppia però si incrina. Come scrive Centonze su FaroNotizie.it: “Il compagno improvvisamente non è contento di avere Camilla al suo fianco (…) La ragazza subisce un’umiliazione dopo l’altra, tanto che, ormai stanca, si rivolge ad un avvocato per chiedere l’affidamento della piccola Alessia. Siamo nel mese di Febbraio 2011 (…) Il 2 aprile 2011 tra le 6:00 e le 7:00 di mattina, Camilla Auciello viene uccisa con una ferocia inaudita con 46 colpi di martello e di grosse forbici in particolare alla testa e al volto della ragazza”.

L’uomo si è poi fatto la doccia, ha preso la bimba e l’ha portata dai genitori a Riolo. Infine è andato a costituirsi dai Carabinieri di Faenza.

La sentenza fece molto discutere. L’avvocato della madre e del fratello commentò “Non è stata fatta giustizia”. In pratica, al Bertazzoli non fu contestata la premeditazione – tesi sostenuta invece dall’avvocato di parte civile e dalla consulente, la criminologa Roberta Bruzzone. Né gli furono contestate la crudeltà e la probabile presenza della bambina sulla scena del crimine.

Scrive inoltre Centonze: “ll pm Maria Gabriella Tavano nel corso del processo ha sollevato una questione di legittimità costituzionale: per l’omicidio commesso da un coniuge, la condanna va dai 24 ai 30 anni. Se a commetterlo è un convivente, invece, l’aggravante non è prevista e la pena è inferiore. Si tratta dell’articolo 577 del codice penale (circostanze aggravanti), ultimo comma, in cui si dice che la pena è “da 24 a 30 anni di reclusione se il fatto è commesso contro il coniuge, il fratello o la sorella, il padre o la madre adottivi, o contro un affine in linea retta”. Secondo la legge, l’aggravante non si applica al convivente more uxorio e quindi è chiaro che la pena nel suo caso è inferiore ai 24 anni”.

“La piccola Alessia – riporta Centonze nel 2013 dopo la conferma in appello della condanna di Bertazzoli a 16 anni – viene affidata temporaneamente alla sorella dell’assassino. Quell’affidamento diventerà poi definitivo. A nulla sono valsi finora i legittimi tentativi da parte della madre della vittima, Angela Linsalata, di avere lei l’affidamento della bambina”.

KV

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