Questa sera al Dock61 incontro con Claudio Riccio su referendum e diritti: perchè bisogna dire sì

In questa intervista Riccio (Sinistra Italiana e ACT agire, costruire, trasformare) ci parla della battaglia per il SI al referendum del 17 aprile

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Diritti sociali e costituzionali, questi assenti. Questa sera alle ore 18.00 al Dock61 di Ravenna se ne parla nel corso di un incontro con Dora Casalino, Portavoce di Ravenna in Comune, con Claudio Riccio di Sinistra Italiana e ACT agire, costruire, trasformare, e con Cesare Roseti di TILT. Introduce e modera Giorgio Stamboulis (seguirà un aperitivo). 

 

Claudio Riccio è un attivista di ACT! Agire, Costruire, Trasformare, vive a Bari e da gennaio 2013 si è aperto una partita IVA e lavora, con le difficoltà del freelance, ma anche molte soddisfazioni, come web & communication designer. Dedica all’impegno politico gran parte del tempo libero dal lavoro, ed è stato candidato alle elezioni europee con la lista L’Altra Europa con Tsipras raccogliendo 20.500 preferenze, un risultato ben oltre le aspettative, con una campagna elettorale attraverso tutto il sud Italia. Oggi è impegnato nel progetto di Sinistra Italiana e sta lavorando alla campagna referendaria del 17 aprile.

 

Riccio, ci parli della posta in gioco domenica 17 aprile.

“La posta in gioco non è solo quella del referendum del 17 aprile sulle trivellazioni. Io punterei sull’intera stagione referendaria che si apre nel Paese. Perchè domani in tutta Italia comincia la raccolta firme promossa dalla Cgil contro il Jobs Act e anche quella contro la cosiddetta Riforma della Scuola del Governo Renzi. Questa stagione avrà poi il suo culmine in autunno, quando si terrà il referendum sulle Riforme Costituzionali dello stesso Governo Renzi. Questi referendum sono un modo per i cittadini di partecipare, di riprendersi la politica, per dire le proprie ragioni e farle valere. In un Paese in cui il voto dei cittadini sembra contare sempre meno, noi vogliamo che conti di più e che le persone tornino a decidere del loro destino e di quello dei territori in cui vivono e lavorano.”

 

Entriamo nel merito del referendum del 17 aprile. Il quesito ha una portata molto limitata, in realtà.

“Il significato del referendum di domenica 17 aprile va ben oltre la singola norma che riguarda le concessioni in essere per le trivellazioni entro le 12 miglia. Fra l’altro, il vostro territorio è uno di quelli a più alta attività estrattiva e a voi le questioni sono ben note. Il vero tema che abbiamo di fronte è quello del cambiamento delle politiche energetiche di questo Paese, che di certo non è né diventerà mai autosufficiente con le trivellazioni in mare. L’Italia, invece, ha bisogno di una netta svolta nelle scelte energetiche in favore delle energie pulite e rinnovabili. Bisogna chiudere con una stagione nera, quella degli idrocarburi. Bisogna aprire un nuovo capitolo per produrre energia dal sole e dal vento e da tutto ciò che ci può consentire anche di creare più occupazione in questi nuovi settori, mentre di occupazione dalle trivelle in mare se ne crea ben poca, come tutti sanno. L’obiettivo è di ottenere energia buona e pulita, creando nuova occupazione e rispettando il nostro ambiente e i nostri territori. Quel rispetto che oggi manca. Il fatto che diverse Regioni per la prima volta in Italia ricorrano allo strumento del referendum per contestare le scelte operate dal Governo centrale e per cercare di evitare danni ai territori e alle popolazioni, dimostra quanta poca considerazione venga oggi riservata proprio alla salvaguardia dei territori e al benessere dei cittadini. Il tutto per fare un favore alle lobby del petrolio.”

 

A Ravenna c’è una forte campagna contro il referendum perché – sostengono le forze contrarie – la vittoria del sì metterebbe a rischio l’intero settore dell’off shore con centinaia di posti di lavoro. Qui circa 3.000 persone lavorano nel settore. Naturalmente, quelli direttamente legati alle attività estrattive delle piattaforme sono molti di meno. E le piattaforme interessate dall’esito referendario del 17 aprile sono ancora meno. In ogni caso, voi cosa rispondete a chi protesta perchè rischia di perdere il posto di lavoro?

“Indubbiamente c’è molto allarmismo alimentato ad arte. Si tratta di uno spauracchio che non corrisponde alla realtà. Intanto, fa specie che un governo che ha sempre ignorato i lavoratori oggi riscopra le ragioni dei lavoratori difendendo le trivelle e invitando addirittura all’astensione. In realtà, diciamo le cose come stanno: se vince il sì e quindi si pone di fatto un limite alle concessioni in essere entro le 12 miglia dalla costa, non significa che il giorno dopo le trivellazioni cessano e i lavoratori restano a casa. Prima che il Parlamento votasse la norma su cui si vota il 17 aprile, le concessioni per estrarre in genere avevano una durata di 30 anni, più 20 anni di proroga. E questo ogni azienda che opera nel settore lo sa, mettendo nel conto che ci sia comunque un limite allo sfruttamento dei giacimenti. Con la norma voluta dal Governo non ci sono invece più limiti allo sfruttamento. Con questo referendum chiediamo che non esita più un tempo illimitato per lo sfruttamento dei giacimenti in essere, che scaduta la concessione, fra 10 o 20 anni, cessi lo sfruttamento. Non domani, quindi, ma fra 10 o 20 anni, quando scade la concessione attuale. Perciò in questo frangente c’è il tempo per trovare le soluzioni alternative per la fornitura di energia e anche per chi lavora oggi nel settore. Quindi, a mio avviso, c’è tutto il tempo necessario per varare un piano serio di riconversione. Non c’è il baratro domani. E un serio piano di riconversione e di investimento nelle nuove fonti di energia può creare nuovi e ben maggiori posti di lavoro. Le trivellazioni hanno bisogno di poco lavoro e creano pochissimi posti di lavoro. Questo lo sanno tutti. Nelle rinnovabili potrebbero lavorare molte più persone. Faccio un solo esempio: Ombrina Mare che in Adriadico era uno dei progetti di estrazione più grossi, ora bloccato, dava lavoro solo a 24 persone, questo per dare un’idea di quanta poca occupazione generi l’estrazione in mare. Il problema è che il Governo non incentiva e non investe abbastanza nelle rinnovabili.”

 

Perchè, secondo lei?

“Il Governo è subalterno alle logiche e alle esigenze delle lobby più potenti, delle società estrattive e petrolifere, le quali oltre tutto pagano in Italia e lasciano sul territorio dove estraggono royalties molto modeste, creando veramente poca ricchezza a beneficio delle realtà locali. Poca ricchezza e molti problemi. Le royalties che le compagnie pagano per estrarre nei nostri mari sono molto più basse della media europea, quindi non c’è nemmeno il discorso di una ricaduta economica significativa. Per noi invece le politiche energetiche devono valorizzare il territorio e creare ricchezza per le realtà locali.”

 

In definitiva il referendum del 17 aprile per voi è soprattutto un segnale politico, per invertire rotta nel campo della politica energetica nazionale?

“Sì. Un segnale politico forte per cercare di invertire la rotta. Questo Governo parla tanto di innovazione, si riempie la bocca di questi slogan, e poi invece sceglie il petrolio. Non c’è niente di più vecchio del continaure a puntare sulle energie fossili. L’Italia non può continuare in questo modo, è un problema energetico ed economico, è un problema ambientale ed è anche un problema di democrazia. Pensiamo solo al legame che esiste fra gli interessi petroliferi e la vicenda dell’assassinio di Giulio Regeni in Egitto, per cui l’Italia non può alzare la voce più di tanto per avere giustizia perché sono a rischio contratti petroliferi faraonici in terra egiziana. Oppure pensiamo alla vicenda dello scandalo in Basilicata… l’opacità degli affari legati al petrolio, l’intreccio fra politica e lobby del petrolio che è venuta a galla, che passa sulla testa dei cittadini… Nulla di più vecchio e di meno democratico di queste cose. Bisogna cambiare strada.”

 

Ce la farete a raggiungere il quorum?

“Speriamo. È aumentata moltissimo l’attenzione intorno al referendum negli ultimi giorni. La sfida è complessa. Il governo fa campagna per l’astensione e questa cosa è scorretta, è eticamente molto discutibile, e c’è chi dice anche illegale per chi ricopre cariche pubbliche. Poi c’è una sorta di congiura del silenzio di gran parte della stampa. Ma il clima è cambiato, sta cambiando, e penso che potremmo riuscire a farcela: a scuotere l’opinione pubblica e portarla a votare per far vincere il sì.”

 

A cura di P. G. C. 

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