Angelo Ferracuti racconta a Il Tempo Ritrovato “la storia più importante della sua vita”

Nel suo ultimo libro “La metà del cielo” uscito di recente per la casa editrice Mondadori, lo scrittore Angelo Ferracuti racconta quella che definisce “la storia più importante della sua vita”. Una storia che prende le mosse da una morte precoce, quella della moglie portata via dal cancro a soli 42 anni, che racconta la difficile elaborazione del lutto, il faticoso percorso di rinascita, il complesso rapporto con una piccola città di provincia dalla quale lo scrittore fugge appena può per andare in giro per il mondo.

Mercoledì 16 ottobre, l’autore marchigiano è stato ospite alla Biblioteca Classense di Ravenna della rassegna letteraria “Il tempo ritrovato”. Ferracuti è conosciuto a Ravenna per il suo libro “Il costo della vita” sulla tragedia avvenuta oltre trent’anni fa ai cantieri Mecnavi in cui persero la vita 13 operai. Proprio Ravenna è la città scelta per la prima presentazione ufficiale de “La metà del cielo”, un romanzo duro, intenso, sincero e coinvolgente. A confrontarsi con lui è il direttore della rassegna letteraria Matteo Cavezzali che prende le mosse dal “racconto della realtà”, che costituisce la personalissima cifra stilistica di Angelo Ferracuti, noto per i suoi reportage che ha riportato, come dice lui stesso, “dentro la narrativa tout court”.

“Ho scoperto pubblicando questo libro – ammette Ferracuti – che molto probabilmente è il tipo di letteratura che volevo fare da sempre: la realtà che combatte contro la finzione”. “Il reportage è la forma di narrativa per eccellenza più vicina alla vita vera” spiega l’autore e calarsi “nelle segrete dell’esistenza”, è la scommessa per uno scrittore che vuole ricollegarsi alla grande tradizione del realismo.

Lo è soprattutto oggi, sottolinea Ferracuti, “ nell’epoca dei reality, nella società dello spettacolo dove tutto è finzione, dove la nostra stessa vita sui social diventa una finzione, per cui noi siamo spesso pubblicamente quello che nella vita vera non siamo”. “Questo libro – prosegue – l’ho fatto partendo dalla storia più importante della mia vita: la malattia di mia moglie. Io mi sono ritrovato, da un giorno all’altro dentro un’altra vita, come se quella sera che ci hanno detto che lei aveva quella malattia noi avessimo attraversato un confine, una linea d’ombra e sono stato insieme a lei e alle mie figlie, in una casa, ad aspettare la fine. Sin da subito, essendo io uno scrittore, ho pensato di raccontare questa storia che ho conservato gelosamente per quindici anni prima come una narrazione privata, di elaborazione del lutto, poi trasformandola in un romanzo. Volevo che fosse un racconto naturale, senza artifizi, una storia raccontata ad alta voce”.

La narrazione si intreccia con la storia di una generazione: “Ho conosciuto mia moglie a metà degli anni Ottanta. Tutti e due venivamo dalla stagione dei movimenti giovanili. Questo è un libro che parla anche di fallimenti in senso esistenziale ma anche sociale, perché quello che pensavamo allora dovesse accadere non solo non è mai successo, ma oggi ci ritroviamo quasi dentro un incubo quotidiano: tutte le nostre istanze, i nostri valori in questi anni sono stati cancellati. È un libro che racconta tutto questo e anche la Storia. Quando cade il muro di Berlino nasce mia figlia: quindi ho tentato di mettere insieme una vicenda privatissima con una grande storia. ‘La metà del cielo’ è un’autobiografia solo mia, ma è una storia in cui molti di quelli che hanno la mia età possono riconoscere come propria”.

Ma si può scrivere la verità?”, chiede Matteo Cavezzali. Risponde Angelo Ferracuti: “ Ho smesso di scrivere narrativa di invenzione nel 2002, quando cominciavamo ad entrare in un tipo di società mediatica. Ho avvertito questa necessità di fare qualcosa d’altro dopo avere letto una frase di Salman Rushdie che diceva più o meno: i politici inventano menzogne, il dovere dello scrittore è scrivere la verità. Ho preso molto sul serio questa affermazione. Ho cominciato a fare quello che faceva un fotografo leggendario, Mario Dondero che è stato anche un mio grande maestro: andare in giro per il mondo a raccontare quelle che chiamo le storie viventi, perché sono storie alle quali tu dai vita insieme agli altri. Io ho scritto il libro sulla Mecnavi intervistando cinquecento persone: ‘Il costo della vita’ non è un libro solo mio, è un libro corale, un libro che considero di tutti. È un’idea che poi è maturata sul campo negli anni. Adesso – continua Ferracuti – tutti i miei libri sono così: attualmente sto lavorando in Amazzonia.”

“I miei sono anche libri antropologici: quando vado in un posto cerco di capire anche le dinamiche sociali. Ogni luogo ha un sedimentato di storia talmente forte che produce nel presente delle cose che non accadono anche da un’altra parte. Tutto questo è molto appassionante, è una sfida. Io non sono capace di raccontare storie di finzione: la vita è molto più complessa di un romanzo, nella vita accadono cose molto più imprevedibili. La realtà è un insieme di sguardi. Questo libro è il mio sguardo sulla mia vita”.

 La memoria però spesso mente. “Rileggendo questo libro prima che uscisse – confessa Angelo Ferracuti – io stesso non ero sicuro che quelle cose fossero successe o che fossero successe così. C’è un momento in cui mia moglie poco prima di morire mi stringe il braccio e mi dice: le bambine… e basta. È stata una cosa fortissima, ma non so se me lo ha detto veramente o se io mi sono inventato questa cosa , però non è importante: io ricordo così. Io sono del parere che si debba raccontare quello che si ricorda in maniera molto forte”.

 Cavezzali: “Tu racconti che hai cominciato a scrivere questo libro quando tua moglie era ancora in vita: quindi ‘La metà del cielo’ ha avuto una gestione di quasi dieci anni, nei quali tu continuamente tornavi a metterci mano, quasi fosse un rituale terapico. Quando hai deciso che questo libro era pronto?”.

 “Mi sono accorto che il libro era pronto quando non piangevo più, quando rileggendolo sembra quasi che io leggessi la storia di un altro. Poi ad un certo punto la mia vita è rinata, mi sono innamorato di un’altra donna e ci siamo sposati. Lei pure ha vissuto la stessa storia è rimasta vedova a 38 anni. Abbiamo ricostruito una famiglia da due famiglie disperse e io sono molto orgoglioso di questo”.

 Cavezzali: “ Tu a questo proposito dici una frase molto bella: sono un uomo con due vite, una dentro l’altra. Nel tuo libro citi molta poesia di Montale, di Saba: la letteratura fa un po’ da puntello al racconto”.

 “La letteratura è la mia vita – replica lo scrittore – . Ho bisogno di scrivere come di respirare, è il mio modo di stare al mondo. Io facevo un lavoro completamente diverso, consegnavo la posta e poi tornavo a casa dove avevo una moglie e due figlie. Viaggiavo pochissimo. Ho una fiducia molto forte nella letteratura, quando racconto la vita è ovvio che c’è sempre un’associazione con un libro, con un personaggio. Tutto questo è anche una piccola prigione: uno è un po’ prigioniero di queste ossessioni. Ci sono sempre dei vasi comunicanti fra la vita vera e quella inventata. È ovvio che la letteratura è entrata anche in questo libro. C’è questa bellissima poesia di Montale dedicata alla moglie che recita: ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino… Un verso che ho messo nel manifesto funebre di mia moglie: quella è la condizione di chi ha subito una perdita.”

“Il nostro è stato un grande amore, un amore fortissimo anche se ad un certo punto abbiamo avuto anche noi dei problemi. E lei negli ultimi anni insieme mi ha chiesto questa cosa di farla con me e basta e quindi io ho fatto quello che dovevo fare. Nei tre anni della malattia stavamo sempre insieme, in un rapporto veramente simbiotico, se lei era allegra io ero allegro, se lei era triste io ero triste. Tutto era condizionato dal suo umore. Se stava meglio stavamo tutti meglio. Io che per natura sono malinconico e schivo mi sono ritrovato a fare il clown, dicevo stupidaggini per cercare di tenere alto il morale di tutti”.

 “In questo libro – afferma Cavezzali – ci sono passaggi in cui tu ti accanisci contro te stesso: il tema della sconfitta, di te che non ti senti all’altezza”. “Quando uno scrive un libro come questo non può farsi degli sconti, non può scrivere solo quello che gli piace: io ho cercato di mettermi in gioco veramente. Ad un certo punto la botta per la morte di mia moglie è arrivata sottoforma di una depressione fortissima. – risponde Ferracuti Per un anno sono stato un alcolista totale. Cominciavo a bere la mattina appena sveglio, passavo la giornata al bar con persone improbabili. Stavo lì perché nessuno mi giudicava finché arrivavo alla sera stordito: ho dovuto davvero toccare il fondo dell’autodistruzione. Però ad un certo punto una sera mi sono reso conto stavo perdendo il controllo e che avevo la responsabilità di due figlie adolescenti. Mi sono curato e dopo è cominciata una lenta ricostruzione. Ho incontrato la mia nuova moglie, che mi ha salvato la vita e io l’ho salvata a lei e tutto è rinato. ‘Il costo della vita’, il libro che ho scritto che parla di Ravenna è stato il mio ritorno alla vita perché io non scrivevo più, non leggevo: bevevo e dormivo. Per me quel libro è stato la mia rinascita”.

Cavezzali torna su “La metà del cielo”:I protagonisti di questa storia sono reali, li chiami tutti per nome, fatta eccezione per la tua città, che tu chiami la piccola città. Si intuisce che c’è una sorta di conflittualità con questa realtà”. “Dico sempre ai miei concittadini: non vi montate la testa, non siete più cattivi degli altri. Fermo è un posto molto conservativo, con in suoi poteri arroccati. È una cittadina bellissima, da un punto di vista architettonico e paesaggistico: io sono innamorato del suo paesaggio. – dice Ferracuti – Nella piccola città si sviluppano tanti meccanismi negativi: l’invidia, il rancore, la rabbia. In più c’è un motivo scatenante legato alla mia biografia: io mi chiamo Angelo Ferracuti come mio nonno che per avere firmato una fidejussione bancaria morì suicida a 33 anni e questa cosa mi ha segnato in maniera profonda: io in banca non ci sono mai voluto entrare.”

“Molti continuano a vivere nella irrealtà, pensano: che bella la provincia italiana. Questo non è vero: oggi nel mondo globalizzato possono accadere delle cose terribili in luoghi che la gente pensa siano idilliaci. Io poi sono entrato in conflitto nella mia piccola città quando un razzista e fascista ha ucciso un giovane nigeriano. La maggioranza dei miei concittadini ha preso la difesa dell’assassino e io ho fatto il mio dovere, ho fatto quello che dovrebbero fare tutti gli intellettuali: cercare di risvegliare le coscienze e quindi ho innescato un corpo a corpo con la piccola città. Il problema è che queste cose accadono perché la politica non esiste più, oggi è solo comunicazione. Oggi come si forma una persona? Guardando la televisione, andando su internet… tutti quelli che una volta erano soggetti educativi, non ci sono più. Tutto questo produce il disastro che abbiamo di fronte. Per questo fin da ragazzo, appena potevo, dalla piccola città scappavo. Ma è il desiderio che hanno, secondo me, tutte le persone normali: l’idea rassicurante di stare tutta una vita in un posto l’ho sempre aborrita”.

“La fuga, il viaggio… anche in questo libro – dice Cavezzali sorridendo – non si capisce mai se stai fuggendo da una realtà o se ne stai scoprendo un’altra…”.

 “Quando sto a casa è come se non accadesse niente, al contrario quanto sto in viaggio accadono tante cose. Sono stato quasi un mese in Brasile perché sto facendo un lavoro sulle foreste amazzoniche insieme ad un amico fotografo che diventerà un libro, che uscirà il prossimo anno e si intitolerà ‘La selva oscura’. La prossima primavera faremo un viaggio sul Rio Negro. Abbiamo comprato un battello che si chiamerà Amalasunta e che alla fine del viaggio diventerà una scuola galleggiante per i bambini delle periferie terribili di Manaus”.

L’incontro si chiude con la lettura di una pagina del libro da parte dell’autore.

Il prossimo incontro de “Il tempo ritrovato” sarà, mercoledì 23 ottobre con una ospite straniera: l’autrice norvegese Hanne Ørstavik , finalista al National Book, sarà alla Classense per presentare il suo “Amore” edito da Ponte alle Grazie.