Claudio Casadio è il preside de “La Classe”, alle prese con ragazzi che non volano ma possono andare sulla luna

La Classe sarà al Teatro Walter Chiari di Cervia il 4 e 5 febbraio (ore 21) e al Teatro Alighieri di Ravenna dal 6 al 9 febbraio (ore 21 da giovedì a sabato, ore 15.30 per la replica domenicale)

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Claudio Casadio, ravennate, una vita per il teatro, anima di Accademia Perduta/Romagna Teatri insieme a Ruggero Sintoni, da 10 anni è attore affermato e apprezzato nel panorama italiano. Il grande salto arriva con il cinema, nel 2009, quando debutta interpretando il ruolo del protagonista maschile ne L’uomo che verrà di Giorgio Diritti. La pellicola, che vede Claudio Casadio recitare accanto a Maya Sansa e Alba Rohrwacher, ottiene molti premi e riconoscimenti. La carriera cinematografica di Claudio Casadio prosegue con un cammeo in Romanzo di una strage, il film di Marco Tullio Giordana sulla strage di Piazza Fontana, del 2012. Ma è in teatro che Claudio Casadio trova la sua consacrazione. Dapprima è il galeotto protagonista, insieme a Giulio Scarpati, di Oscura immensità, uno spettacolo che Massimo Carlotto ha adattato per il palcoscenico dal suo romanzo L’oscura immensità della morte. La pièce è diretta da Alessandro Gassmann. Successivamente è il ladro balordo che duetta con la prostituta di alto bordo Pamela Villoresi ne Il mondo non mi deve nulla, scritto nuovamente da Massimo Carlotto e diretto da Francesco Zecca. Poi interpreta la figura dello spietato aguzzino nello spettacolo Mar del Plata, un testo intenso sulla feroce dittatura argentina, scritto da Claudio Fava e diretto da Giuseppe Marini. Infine, eccolo ora ne La Classe che sta portando con successo nei teatri italiani e che sarà nel ravennate la prossima settimana: al Teatro Walter Chiari di Cervia il 4 e 5 febbraio (ore 21), al Teatro Alighieri di Ravenna dal 6 al 9 febbraio (ore 21 da giovedì a sabato, ore 15.30 per la replica domenicale).

L’INTERVISTA

La Classe è un testo italiano. Immaginavo prendesse spunto da un libro e da un film che sono usciti in Francia qualche anno fa. Il film fu premiato a Cannes e l’abbiamo visto anche in Italia. C’è un aggancio?

“Ovviamente l’opera si ispira a quel film, però Vincenzo Manna ha rielaborato completamente quell’idea alla sua maniera.”

Come nel film, anche qui abbiamo una classe in un ambiente di periferia, con ragazzi difficili, in un rapporto conflittuale con l’insegnante e con l’istituzione scuola. Anche qui insomma siamo in una storia con ragazzi borderline, in situazioni di marginalità sociale.

“Sì, è una classe di un corso di recupero in questa periferia, in una città industriale segnata dalla crisi economica. I ragazzi sono problematici perché vivono una realtà fatta di povertà, degrado, disagio, criminalità, conflitti sociali. A rendere ancora più grave la situazione c’è, appena fuori dalla città, lo Zoo, un grande campo profughi che ha ulteriormente deteriorato un tessuto sociale già sull’orlo del collasso. Tutto viene esasperato.”

Il nome Zoo non è casuale, evoca una condizione umana ingabbiata, animalesca, insostenibile.

“È così. Anche se queste cose non si vedono mai, non sono portate in scena, restano sullo sfondo. A me questo testo piace molto anche per questo motivo: tratta di temi importanti, fa riflettere, ma non ha un approccio troppo pedagogico o moralista, non vuole dare né la lezione, né la soluzione. Interroga e vuole fare riflettere sul disagio dei giovani oggi rispetto alla famiglia, alla religione, alla scuola, alla società. È un’occasione per riflettere più in generale sui conflitti e le contraddizioni che viviamo oggi, qui e ora, ma non vuole dare tutte le risposte. Per questo è un testo importante, perché il teatro deve avere anche questa funzione di mettere in moto i pensieri, la coscienza individuale e collettiva. Come Accademia Perduta abbiamo prodotto oltre a La Classe anche L’Abisso di Davide Enia e proprio in questa stagione della nostra carriera siamo molto sensibili a questo teatro che parla di temi contemporanei, che si misura con la complessità del presente. D’altronde anche il teatro ha bisogno di novità, di nuovi autori.”

E anche di nuovi attori.

“Infatti. La cosa bella di questo spettacolo è che è interpretato da 8 attori, di cui 6 giovani che vanno dai 23 ai 28 anni. Insomma diamo spazio al nuovo. Ragazzi molto bravi, molto energici ed è questo che determina anche il successo dello spettacolo. Il pubblico è affascinato, ha voglia di vedere giovani in scena con la loro energia e la loro bravura.”

Fra l’altro c’è Brenno Placido il figlio di Michele Placido, che si era già distinto in una fiction tv.

“Sì, certamente è un giovane, figlio d’arte, è bravo, è un attore in carriera.”

Che rapporto hai con questi giovani attori?

“Sono molto paterno. È un bel rapporto. Loro ci mettono la loro energia. Io ho un ruolo più marginale rispetto a loro, in cui emerge però un lato poetico. E questa cosa mi piace.”

Disagio e rabbia giovanile, da una parte. Poi c’è la rabbia che deriva dalla frustrazione dell’insegnante, anche lui una vittima del sistema, uno sconfitto.

“L’insegnante è uno straniero. La sua famiglia vive in questa città da tre generazioni, lui è nato qua, ma ha provato sulla sua pelle tutte le difficoltà di essere diverso, figlio d’immigrati. Certo ha studiato, insegna, ma ha avuto un vissuto complesso, una vita difficile. Malgrado queste difficoltà è uno che ha ancora dentro tanto entusiasmo e, infatti, alla fine lo tira fuori e diventa contagioso. Fa breccia, convince questi ragazzi a partecipare a un concorso prendendoli un po’ in giro all’inizio, ma poi riesce a fare capire loro che l’impegno culturale, sociale, politico, l’impegno per qualcosa è un grande valore, è un investimento nella vita, che va vissuta con passione, non solo lasciandosi vivere e lasciandosi trascinare dagli eventi. Quindi coinvolge i ragazzi, li fa crescere, assolve al suo compito educativo, fino in fondo.”

Il tuo personaggio è quello del preside. Leggo che sei cinico e che la tua connotazione è negativa, antipatica, d’altra parte rappresenti l’istituzione, l’autorità…

“È un personaggio molto bello. Certo il preside è cinico, disincantato, perché viene da una lunga esperienza dentro la scuola, prende posizioni che possono sembrare o sono anche reazionarie, ma d’altronde lui ha il ruolo di quello che deve mantenere l’ordine e quindi si pone come contraltare della protesta giovanile. Non può essere un personaggio simpatico in un contesto in cui deve contrastare questi protagonisti belli, giovani e ribelli. Però poi ci sono tre monologhi in cui lui parla a questi ragazzi chiamandoli galline. Galline perché sono volatili che hanno ali troppo piccole per volare, però hanno le zampe forti: una gallina, camminando, potrebbe arrivare in tre anni sulla luna. Quindi ha una sua dimensione poetica. Ha più sfaccettature e questo mi piace. Se no sarebbe un personaggio più normale e scontato e mi sarebbe piaciuto meno. D’altra parte quando sei fra giovani che hanno tutta questa energia devi sgomitare per ritagliarti un ruolo, per trovare il tuo spazio, e questo personaggio me lo consente.”

Hai ripetuto più volte che è bello, che ti piace questo spettacolo. Ti sento carico.

“Sì, sono molto felice di portare in teatro questo lavoro, sono convinto di quest’opera, perché, credimi, fare questo lavoro e girare per l’Italia tutti gli anni non è facile e se non sei convinto, entusiasta del lavoro che fai, diventa molto dura. Dopo tanti anni avere ancora uno spettacolo che vale la pena portare in giro, in cui ti diverte recitare, che piace al pubblico invece è importante. Piace ai giovani, ma piace anche a un pubblico più maturo che ha voglia di novità e di emozioni nuove.”

Quindi lo consigli a chi frequenta la scuola, ai ragazzi, agli insegnanti. Ci si potranno riconoscere?

“Be’ gli insegnanti rimangono contentissimi di questo spettacolo. C’è stata una professoressa in pensione che mi ha detto dopo lo spettacolo che le era venuta voglia di tornare a scuola e che per questo sarebbe andata a fare volontariato. Chi ha vissuto nel mondo della scuola ritrova tutte le problematiche e le emozioni vissute.”

Abbiamo appena celebrato il Giorno della Memoria in ricordo della Shoah e uno dei temi da cui parte l’insegnante per motivare i ragazzi è proprio questo.

“Sì, il concorso è sulla Shoah però l’insegnante e i ragazzi trovano del materiale su torture che accadono oggi nel mondo e quindi finiscono per sostituire le mattanze contemporanee all’olocausto.”

Un olocausto chiama l’altro. L’olocausto non è finito.

“No, non è finito niente.”

Parliamo di te e dei tuoi ruoli. Prima un galeotto. Poi un ladro. Poi un aguzzino. Poi il preside cinico, un po’ reazionario.

“Sto migliorando (ride, ndr). Adesso sono un po’ più borghese, se non altro.”

Comunque sono personaggi e ruoli forti, complessi, duri. Te li danno per via di quella tua faccia così plastica e sagomata?

“Per fare bene questo lavoro devi trovarti personaggi complessi, dei bei ruoli, che ti diano forza, passione, per potere arrivare al pubblico. Poi, certo, con la mia faccia non posso fare il Principe Azzurro.”

Che cosa hai in programma dopo La Classe?

“Farò Finale di partita di Beckett, debutteremo a novembre prossimo, saremo io e Alessandro Benvenuti. E poi ho trovato un bellissimo pezzo su Andy Warhol e Jean-Michel Basquiat che devo assolutamente fare nei prossimi tre anni. È un testo che mi piace molto, vediamo di trovare la produzione giusta. Io non posso fare Basquiat naturalmente, ma vorrei fare Andy Warhol, un personaggio pieno di fascino.”

Con una parrucca biondo platino potresti anche assomigliargli.

“È molto difficile, perché c’è sempre il rischio di passare di là e di fare un pupazzo se non lo fai bene.”

Quanto sei contento di queste date fra Cervia e Ravenna, a casa tua?

“Mi fa sempre molto piacere. Anche il pubblico viene ai miei spettacoli, ne sento il calore. Dopo Mar del Plata sono contento che Ravenna Teatro ci dia anche quest’altra opportunità. Come non essere contento quando recito a casa mia di fronte a tanta gente che conosco e che mi vuole bene. È un’emozione in più. E poi il Teatro Alighieri è un bellissimo teatro, che un attore deve e vuole affrontare: sono contento che i giovani della compagnia salgano su questo palcoscenico.”

Ricordo la sera di Mar del Plata: ci fu un lungo caloroso applauso. Che effetto ti fece?

“A me gli applausi fanno sempre effetto. Che siano a Ravenna o in un’altra città. Chiaro che un bell’applauso a casa tua fa bene. Ma io non sono poi un attore che lavora molto qui, legato così tanto al territorio, non sono quello che cerca il grande consenso in casa, non ho lavorato per questo. Però se arriva, mi fa doppiamente piacere, ovviamente.”

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La Classe: sinossi dello spettacolo

I giorni di oggi. Una cittadina europea in forte crisi economica. Disagio, criminalità e conflitti sociali sono il quotidiano di un decadimento generalizzato che sembra inarrestabile. A peggiorare la situazione, appena fuori dalla città, c’è lo Zoo, uno dei campi profughi più vasti del continente che ha ulteriormente deteriorato un tessuto sociale sull’orlo del collasso ma, paradossalmente, ha anche portato lavoro, non ultima la costruzione di un muro intorno al campo per evitare la fuga dei rifugiati. Alla periferia della cittadina, in uno dei quartieri più popolari, a pochi chilometri dallo Zoo, c’è una scuola superiore, un Istituto Comprensivo specializzato in corsi professionali che avviano al lavoro.

La scuola, le strutture, gli studenti e il corpo docente, sono specchio esemplare della depressione economica e sociale della cittadina. Albert, straniero di terza generazione intorno ai 35 anni, laureato in Storia, viene assunto all’Istituto Comprensivo nel ruolo di Professore Potenziato: il suo compito è tenere per quattro settimane un corso di recupero pomeridiano per sei studenti sospesi per motivi disciplinari. Dopo anni in lista d’attesa, Albert è alla prima esperienza lavorativa ufficiale. Il Preside dell’Istituto gli dà subito le coordinate sul tipo di attività che dovrà svolgere: il corso non ha nessuna rilevanza didattica, serve solo a far recuperare crediti agli studenti che, nell’interesse della scuola, devono adempiere all’obbligo scolastico e diplomarsi il prima possibile.

Tuttavia, intravedendo nella loro rabbia una possibilità di comunicazione, Albert, riesce a far breccia nel loro disagio e conquista la fiducia della maggior parte della classe. Abbandona la didattica suggerita e propone agli studenti di partecipare ad un concorso, un bando europeo per le scuole superiori che ha per tema I giovani e gli adolescenti vittime dell’Olocausto. Gli studenti, inizialmente deridono la proposta di Albert, ma si lasciano convincere quando questi gli mostra un documento che gira da qualche tempo nello Zoo: foto e carte di un rifugiato che prima della fuga dal paese d’origine aveva il compito di catalogare morti e perseguitati dal regime per il quale lavorava. Il regime, grazie all’appoggio di alcune nazioni estere, nell’indifferenza pressoché totale delle comunità internazionali, è impegnato in una sanguinosa guerra civile che sta decimando intere città a pochi chilometri dal confine europeo. È il conflitto da cui la maggior parte dei rifugiati dello Zoo scappano.

È quello l’Olocausto di cui la classe si dovrà occupare. La cittadina viene però scossa da atti di violenza e disordine sociale, causati dalla presenza dello Zoo. Le reazioni dei ragazzi sono diverse e a tratti imprevedibili. Per Albert è sempre più difficile tenere la situazione sotto controllo. Il progetto La Classe vede la sinergia di soggetti operanti nei settori della ricerca (Tecné), della formazione (Phidia), della psichiatria sociale (SIRP) e della produzione di spettacoli dal vivo. Il progetto prende avvio da una ricerca condotta da Tecné, basata su circa 2.000 interviste a giovani tra i 16 e i 19 anni, sulla loro relazione con gli altri, intesi come diversi, altro da sé, e sul loro rapporto con il tempo, inteso come capacità di legare il presente con un passato anche remoto e con un futuro non prossimo. Gli argomenti trattati nel corso delle interviste hanno rappresentato un importante contributo alla scrittura drammaturgica del testo La Classe di Vincenzo Manna.

La Classe

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