Emergenza Coronavirus. L’attrice Elena Bucci: “Teatro bene primario, resti cuore della comunità”

Lo stravolgimento delle carte in tavola e la reclusione ‘forzata’ causa pandemia Coronavirus ha portato a finestre temporali nelle quali diverse persone hanno riflettuto su come affrontare al meglio questa difficilissima situazione e, soprattutto, su come ridisegnare un futuro più sostenibile e consapevole evitando errori strutturali e sistematici innanzitutto come sistema e società. Tra i settori maggiormente colpiti dalla situazione di paralisi economica e sociale indotta dal Covid-19 troviamo quello dello spettacolo, con tante persone passate da agende fitte di impegni a pagine bianche da riempire, dovendo reinventare (quando e se possibile) i format dei propri spettacoli ricercando la modalità più corretta di comunicazione tra protagonisti e pubblico. A fornirci una testimonianza in prima persona di questo scenario l’attrice, drammaturga e regista teatrale Elena Bucci, fondatrice con Marco Sgrosso della compagnia teatrale “Le Belle Bandiere”, sita tra Bologna e Russi nonché pluripremiata artista (due volte vincitrice del premio UBU 2000 e 2016, Premio Eleonora Duse 2016 e Premio Hystrio-Anct 2017 solo per citare alcuni).

L’intervista

Il mondo dello spettacolo per molte persone sembra sia un’entità astratta che esiste come ‘per magia’. Come hanno vissuto gli attori e quindi tutte le parti chiamate in causa lo scoppio della pandemia e poi questi due mesi di ‘detenzione’?

“Il fatto che il pubblico non sia quasi mai a conoscenza delle difficoltà e dei meccanismi che regolano il complesso mondo dello spettacolo forse fa parte della necessità di vivere l’esperienza artistica nella sua essenza più potente, quella che è capace di innescare la poesia della catarsi, quel ritrovarsi tutti insieme con il fiato sospeso a sentire le stesse emozioni, pur nelle infinite sfumature individuali. Sono quelle antichissime potenzialità del teatro e delle arti dal vivo che ne fanno un nutrimento essenziale, un bene primario. Noi stessi siamo stupiti vedendo come le fatiche, gli ostacoli, gli inciampi si dileguano in un attimo nell’armonia della scena, come se ci fosse davvero una magia che tira fuori il meglio di ognuno di noi. Allo stesso tempo ora è importante che i cittadini sappiano quanto sia fragile e precaria la nostra situazione: molti artisti di teatro, tecnici, musicisti, cantanti, e tanto personale impiegato nello spettacolo si trovano all’improvviso nel vuoto, economico e progettuale, specialmente per chi non ha voluto appoggiarsi troppo ai finanziamenti pubblici. Ritrovarsi all’improvviso chiusi fuori dai nostri teatri, che sono quasi una casa per noi, è come sbattere contro un albero, cadere, ritrovarsi in un mondo parallelo dove il tempo pienissimo di prima è diventato il tempo sospeso del presente, il tempo incerto del futuro, così raro per noi che programmiamo sempre con tanto anticipo i progetti. Abbiamo continuato a studiare, scrivere, a pensare, a riordinare, ad insegnare, a progettare, cercando di stare più vicini negli affetti e nei pensieri, anche da lontano, rinnovando legami, amicizie, collaborazioni, inventando nuovi modi di relazione e creazione. La rete è diventata più che mai un luogo di comunicazione e di espressione, anche se non può in alcun modo sostituire l’esperienza dal vivo, mentre, almeno per quanto mi riguarda, ma so di non essere sola, approfitto di questo sguardo nuovo per analizzare il mondo precedente, le sue mancanze, la sua corsa insensata, le sue cecità sperando che la consapevolezza ci aiuti a riprendere il teatro e la vita di ogni giorno secondo modalità più generose, attente, solidali, fantasiose e libere. Abbiamo confrontato la situazione presente con altre situazioni di emergenze e pestilenze del passato, ritrovando differenze e affinità. In molti abbiamo scritto e aderito ad appelli per avere, come altre categorie di lavoratori, la giusta attenzione e la possibilità di progettare il futuro, sempre nella salvaguardia della salute di tutti”.

Ti ricordi dov’eri quando hanno iniziato a circolare le prime voci del diffondersi dell’epidemia Covid-19?

“Sì. Il 23 febbraio eravamo al Teatro Astra di Torino, impegnati nell’ultima replica dello spettacolo “L’Anima Buona del Sezuan” di Bertolt Brecht prodotta da Emilia Romagna Teatro e Centro Teatrale Bresciano. Era domenica e, mentre ci stavamo recando al lavoro, iniziavano ad arrivare notizie in merito alla chiusura dei teatri. Le prime notizie dalla Cina mi avevano già messo in allarme: mascherine e disinfettanti non si trovavano più. Mi feci procurare una bottiglietta di alcool e di nascosto disinfettavo i camerini sentendomi un po’ stupida, ma anche responsabile della compagnia. Ammetto che sembrava tutto irreale. La settimana successiva stavamo svolgendo le prove a Brescia per lo spettacolo “Prima della Pensione” di Thomas Bernhard e, nonostante fosse una delle città più colpite dalla pandemia, c’era sì allarme ma soprattutto incredulità. Si percepiva una sensazione stranissima oltre che avvertire un clima di impreparazione generale. Uno degli aspetti più significativi della pandemia credo sia l’aver rivelato tante cose che, nel flusso della quotidianità, non vedevamo più. In modo drammatico sono venute a galla la crisi sanitaria, i rischi inerenti le privatizzazioni, cos’ha comportato il depotenziamento del sistema sanitario, la centralizzazione e la chiusura degli ospedali, ecc. Che ci fosse qualcosa di sbagliato in tal senso lo percepivamo anche prima, ma quando questi problemi si sono rivelati in modo evidente in quella che è stata la prima grave crisi occidentale dal dopoguerra, molte scelte del passato si sono dimostrate discutibili”.

Credo sia importante non dimenticare nessuno in questa fase estremamente delicata e complessa…

“Il Settore Spettacolo è stato il primo ad essere fermato e quasi congelato: appare poco sui telegiornali, nelle parole dei ministri e di chi decide del Paese. Sentirsi dimenticati può creare disorientamento ma anche coesione tra noi e nuovo impegno. Confidiamo sempre nell’attenzione e nella cura della Regione Emilia Romagna che conferma i suoi impegni verso il settore culturale e dello spettacolo”.

Il settore dello spettacolo è famoso per la sua grande pazienza. È arrivato il momento di battere i piedi per terra?

“Credo che il mondo dello spettacolo sia rimasto in silenzio all’inizio come forma di dolore e rispetto nei confronti dei morti, dell’emergenza sanitaria che sta attraversando il Paese e di coloro che stanno combattendo in prima linea con coraggio e valore. Ora, quando si pensa a riaprire ristoranti, bar e musei forse è il momento di ricordare quanto sia precario e fragile il nostro mondo, ma anche quanto necessario: in questi mesi, ma anche fin dall’antichità, lo spettacolo, le arti e la cultura sono stati un conforto, un sostegno, un respiro e un mezzo di riflessione e resistenza per molti, il cuore delle comunità. Anche in passato abbiamo avuto segnali d’allarme per la salute delle nostre arti, ma ognuno era impegnato a testa bassa nel suo lavoro e si procrastinavano consapevolezza e soluzioni. Ora si apre un tempo prezioso di cambiamento”.

Elena Bucci

Questa enorme crisi nella crisi è anche specchio dell’assenza della mezza misura generata dal modello estremamente spietato che ci siamo auto imposti?

“Credo che siamo tutti corresponsabili di una crisi socio economica ed etica che la pandemia ha improvvisamente aggravato ed evidenziato. Sarebbe troppo facile puntare il dito. Ognuno ha avuto le sue responsabilità nel tollerare o ignorare lo squilibrio della distribuzione delle ricchezze, le distorsioni del clientelismo, gli eccessi della burocrazia e la distanza tra la politica e la realtà del Paese. Questa frattura ha bisogno di essere sanata, noi cittadini dovremo contribuire a farlo, dovremo essere più presenti per non lasciare spazio a demagogie, populismi e paure. L’Europa resta nel mondo un baluardo della democrazia, conquistata con le lotte e il sacrificio di molti. Dobbiamo correggerne i difetti e difenderla”.

Al momento quali sono i progetti che attendono di ripartire e come pensate di gestirli?

“Innanzitutto, abbiamo reagito immediatamente creando una rete di progetti tra amici e colleghi potendo contare su collaborazioni solide con persone affini. Ci siamo dedicati alla cura dell’archivio fotografico e audio video per il progetto Archivio vivo dedicato alla storia della compagnia, ma anche al racconto di altre storie, artisti, persone, luoghi, mestieri, memorie di una terra e di tutti. Abbiamo potenziato il lavoro sui siti e creato un blog, Cinema Teatro Italia, dedicato ai racconti degli artisti e del pubblico. Abbiamo curato l’edizione di video degli spettacoli che abbiamo messo a disposizione della Regione e di Lepida TV per la culturanonsiferma e ora del progetto “Il posto delle fragole” del Centro Teatrale Bresciano. Abbiamo creato brevi video e registrazioni per tutti coloro che ci hanno chiesto una conferma per le loro stagioni saltate, o un segno di speranza e di vicinanza, da Ravenna Festival a Napoli Teatro Festival o Il sole 24 ore. Capire cosa si poteva fare di particolare tra quattro muri e con un telefono è stato molto interessante; ho cercato di trovare un senso e un ‘emozione. A volte il mio set era davvero curioso, tra oggetti casalinghi, fili, schermi. Ora stiamo progettando in vista delle possibili riaperture di spazi di prova e produzione. Ci stiamo confrontando con la Regione, con il Comune di Russi, con il Centro Teatrale Bresciano per studiare ciò che è effettivamente possibile fare, sempre con grande rispetto della salute di tutti”.

Come la mettiamo con la gratuità del web?

“La gratuità del web ormai è data per scontata. In chiave promozionale mi pare che la rete abbia molto senso, per fare conoscere e promuovere concerti e spettacoli, per raccontare al pubblico progetti, prove, retroscena del lavoro. Se diventa invece un luogo di scambio di materiali artistici credo sia difficile abituare il pubblico a pagare senza spiegare che questo significa anche sostenere gli artisti e la loro possibilità di creare. Per quanto invece riguarda lo streaming, pur senza essere certo un’esperta, mi vengono in mente subito le problematiche di una trasmissione di qualità, se si parla di spettacolo o musica. Non tutti sono attrezzati come La Scala e temo lo streaming improvvisato, anche se basato su un autentico e spesso travolgente entusiasmo. Nel lungo termine, affievolite le necessità dell’emergenza, credo che la salvaguardia della qualità sia parte del nostro lavoro. Inoltre penso che se la rete diventerà un luogo di condivisione di esperienze artistiche sia necessario riflettere sul valore del diritto d’autore o perlomeno su quanto sia decisivo che il pubblico possa capire quanto è importante sostenere gli artisti, anche con una piccola cifra, per la libertà e la molteplicità dell’arte. Non si tratta di una questione solo venale ma molto più profonda. E’ un problema complesso, sul quale si sono arrovellate persone molto più competenti di me: credo riguardi un senso di responsabilità che sono certa non tarderà ad arrivare. Penso la stessa cosa per quanto riguarda l’educazione civica, che questa situazione di emergenza ci ha sollecitato a risvegliare, a ripensare. Sono fiera che la nostra Regione si sia dimostrata molto sensibile in questo senso, ma c’è anche molta confusione. Per quanto mi riguarda, ho cercato di seguire le direttive senza alcuna deroga. E’ stato un sacrificio facile, per noi abituati a stare chiusi in un camerino. Mi sono sentita parte di un progetto comune che aveva bisogno della nostra disciplina per diventare una cura per tutti, perché i suoi dati potessero essere letti e utilizzati”.

È possibile re-inventare il teatro per renderlo appetibile in tempi di Coronavirus?

“Penso che il pubblico abbia un grande desiderio di tornare a vivere il teatro come scambio di emozione e pensiero, come luogo di domande e illuminazioni. Certo comprendo anche che ci sia paura, disagio, diffidenza. Penso, ma è un paradosso, che se avessimo tanti teatri costruiti con il criterio degli antichi greci, in luoghi meravigliosi ed esposti alla luce del tramonto e con un’ottima acustica, potremmo avere un’estate piena di teatro, con il minimo di tecnologia e il massimo di desiderio ed emozione. Noi saremmo disposti a replicare anche più volte per permettere a tutti di partecipare agli spettacoli. Questo non significa che non dobbiamo usare gli strumenti che ci offre la tecnologia (passare dall’essere innovativi all’essere reazionari è un attimo), ma soltanto distillarne l’uso in un momento di grande difficoltà organizzativa ed economica. Il teatro è sopravvissuto in tempi di guerra, nei ghetti, in situazioni di grave pericolo e crisi. Ha permesso a molti di resistere psicologicamente ed emotivamente in momenti terribili, elaborando il dolore. Sappiamo quanto lo spirito influisca sul fisico. L’assemblea del teatro permette la catarsi e la comprensione
e trasformazione dei sentimenti”.

Recitare a porte chiuse quali benefici apporterebbe al settore dello spettacolo?

“Se fosse possibile utilizzare i teatri vuoti in piccoli gruppi di persone e con molta attenzione e le distanze stabilite, si potrebbero realizzare le prove (attualmente ancora sospese) e preparare gli spettacoli, pronti ad essere programmati appena possibile. Se tornano gli operai nelle fabbriche, se vengono aperti ristoranti, se i parrucchieri tornano ad esercitare la loro attività, forse una compagnia formata da poche persone può tornare a lavorare, rispettando i distanziamenti e tutte le misure necessarie. Questa decisione non spetta certo a noi, ma spero venga sollecitata.
Parallelamente alle prove potrebbe partire un progetto di streaming attraverso il quale il pubblico può essere portato dietro le quinte e può conoscere gli attori, i registi, i tecnici e i loro processi di creazione. Credo che ogni passo debba essere meditato e provato, in questo tempo tanto caotico e incerto: non vorrei mai che si scambiasse una ripresa casuale per uno spettacolo. Sarebbe una dannosa confusione che danneggerebbe il teatro e comprometterebbe il rapporto con il pubblico che non lo conosce. Mentre sarebbe molto interessante domandarsi come lo spettacolo possa essere tradotto in cinema o in televisione, diventando un’opera diversa con un diverso linguaggio”.

La sensazione è che le “alte cariche” siano piuttosto sorde al mondo che le circonda. Che ne pensi?

“So che è facile parlare per chi, come me, non si trova ad avere la grossa responsabilità di guidare un paese in una prova tanto nuova e difficile. Spero sempre che chi deve prendere decisioni importanti studi e si documenti per evitare di trascurare attività che possono sembrare irrilevanti in questo momento ma la cui assenza può ammalare la società, togliendole il necessario nutrimento spirituale e culturale. Bisogna curare il malessere, la paura, l’aggressività, bisogna dotarsi degli strumenti per cercare di comprendere le istanze di tutti, senza lasciare nessuno indietro. Una lezione che questa crisi ci sta dando è che bisogna stare sempre in ascolto, degli altri, di sé, dei segnali del pianeta, delle intuizioni, del male del mondo meno fortunato del nostro. Negli ultimi mesi ho avuto il privilegio di partecipare a diverse riunioni con musicisti, attori, artisti, organizzatori e operatori di altre arti. Siamo tutti concordi nel progetto di superare le divisioni dei ruoli, nell’abbandonare ogni prepotenza. La passione per l’arte che amiamo, per quello che facciamo, che appartiene a tutti e a nessuno, deve vincere sulle naturali paure e opposizioni. Spero che queste verità così belle ed entusiasmanti, comprese profondamente e intimamente in questi mesi di ‘clausura creativa’ non si disperdano nel ritorno alla normalità e che non si riprenda la folle corsa che, secondo me, ci stava rendendo ciechi. Il Pianeta ci avverte con amare sorprese e penso sarebbe stupido e suicida continuare a ripetere gli stessi errori. E’ chiaro che se il sistema economico crollasse rischieremmo un ritorno alla pratica dell’ homo homini lupus anche per un pezzo di pane. Ma credo sia importante riflettere su una pratica di sobrietà, fare un passo indietro, rinunciare al superfluo, ascoltare, rispettare, arginare l’avidità e ridurre l’abisso tra chi ha troppo e chi non ha niente. Lo sconquasso che abbiamo passato sarebbe servito a qualcosa”.

Elena Bucci_Scena

La ‘detenzione’ che effetto ha avuto su di te?

“Io chiamo questa sospensione del tempo clausura creativa. Ho ripreso in mano tanti progetti, ho scritto, ho studiato. Ho già detto come sia stato importante lavorare a distanza sul racconto della nostra e di altre storie, sull’edizione di materiali audio video, sullo studio della comunicazione e creazione in rete. La nostra scelta di formare una compagnia indipendente con ci ha allenato ad affrontare situazioni mutevoli e difficili. Per fortuna possiamo contare su collaborazioni prestigiose, generose e di qualità e abbiamo creato rapporti molto profondi che hanno sopportato la distanza e ci hanno permesso di lavorare bene anche attraverso gli schermi e il telefono. La trasformazione attraverso il nostro lavoro è diventato un modo di vivere e siamo allenati ad adattarci, analizzare, rispondere e creare secondo altre vie. Non avrei mai immaginato di divertirmi tanto nel creare video con il cellulare, esplorandone le possibilità adatte a me. Scherzo, ma non del tutto. Le trasformazioni sono state molto profonde. Rinunciare al lavoro al quale ho dedicato la vita sta rivoluzionando molti punti di vista e aprendo spunti di riflessione inediti ai quali sto dando spazio con la scrittura. A volte è doloroso, a volte entusiasmante. Come svegliarsi all’improvviso in un mondo sconosciuto, nella vita di qualcun altro. Ancora di più che sulla scena. E’ tutto talmente nuovo che approfitto del tempo per farne subito un racconto per un pubblico che non c’è, ma che sento. Credo che molti di noi abbiano un grande desiderio di tornare a creare insieme per elaborare le nuove visioni che si sono affacciate in questo periodo incredibile. Ci sentiamo tutti più vicini e più fragili, uniti dalla sensazione di fare parte di un unico organismo, di abitare un solo spazio. Abbiamo rinnovato la passione per il nostro lavoro in tutti i suoi aspetti, dalla trasmissione e dall’insegnamento alle prove e agli spettacoli, in piccoli e in grandi teatri, in un giardino o in una stanza. Sono più determinata nel chiedermi se sto facendo quello che devo e voglio. Spero che saremo ascoltati, ma se non fosse credo che avremo la gioiosa forza di farci sentire lo stesso”.

In cosa consistono le microproduzioni a distanza?

“Si parla di sogni, per ora. Stiamo aspettando il tempo giusto per poterci confrontare con le istituzioni e verificare se esiste la possibilità di programmare a breve termine. In attesa che riprendano le grandi collaborazioni con i teatri, si pensa di individuare spazi all’aperto dove poter organizzare appuntamenti con poche persone a grande distanza l’una dall’altra. Pensiamo a giardini privati dove allestire serate di lettura e spettacolo. Il teatro antico, con la sua essenzialità ci fa da ispirazione”.

“Il Posto delle Fragole” sta cercando di mantenere il proprio contatto con il pubblico?

“Sì, è una rassegna di video tratti da spettacoli teatrali prodotti dal Centro Teatrale Bresciano in collaborazione con la nostra compagnia. In questo momento di attesa e di vuoto, ricordiamo insieme al pubblico quegli spettacoli, manteniamo un contatto emotivo, coltiviamo desiderio e nostalgia del teatro. Gli amici di Brescia sono molto appassionati del loro lavoro e hanno creato questo progetto con cura. Inoltre i video sono programmati per due sere soltanto e presentati con una particolare attenzione. Saranno accompagnati da interviste e riflessioni”.

“Parole per noi” come proseguirà?

“Il 7 maggio 2020 avevamo in programma la nostra terza presenza nella stupenda rassegna ‘I classici in Santa Lucia’ ideata da Ivano Dionigi e Federico Condello e a cura del Centro Studi La permanenza del classico dell’Università di Bologna ma, ovviamente, è stata sospesa. Nelle precedenti occasioni abbiamo recitato con musica dal vivo per migliaia di studenti e maestranze riletture e nuove traduzioni dei testi classici. Stiamo immaginando la trasformazione di questo progetto per il prossimo futuro. “Parole per noi” è stata un’iniziativa lodevole che ha colmato un vuoto temporaneo, chiamando a raccolta molti autorevoli artisti. E’ stato bello trovarsi tutti raccolti intorno a queste parole immortali che illuminano ancora il nostro incerto presente. Per continuare il progetto troveremo una via che comprenda teatro e cinema, linguaggi antichi e modernissimi, portando la scena in luoghi naturali e in palazzi abbandonati, anche in Romagna”.

A cura di Alessandro Bucci