Ravennanotizie per il Settimo Centenario di Dante Alighieri: La Divina Commedia. Inferno, Canto I

Per celebrare il Settimo Centenario di Dante Alighieri, Ravennanotizie.it e le altre testate collegate hanno deciso di pubblicare per cento giorni, integralmente, La Divina Commedia. Un canto al giorno, a partire da oggi 5 settembre, giornata che coincide con la visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Ravenna e con l’inizio delle celebrazioni del Settimo Centenario in Italia. Per il testo del poema seguiamo l’edizione del critico letterario e dantista Giorgio Petrocchi (1921 – 1989) La Commedia secondo l’antica vulgata (4 volumi), a cura della Società Dantesca Italiana, Milano 1966-1967.

Dantedì

INFERNO, CANTO I

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!

Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.

Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.

Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m’avea di paura il cor compunto,

guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de’ raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.

Allor fu la paura un poco queta,
che nel lago del cor m’era durata
la notte ch’i’ passai con tanta pieta.

E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l’acqua perigliosa e guata,

così l’animo mio ch’ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.

Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
sì che ’l piè fermo era sempre ’l più basso.

Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,
una lonza leggiera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;

e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi ’mpediva tanto il mio cammino,
ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.

Temp’era dal principio del mattino,
e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle
ch’eran con lui quando l’amor divino

mosse di prima quelle cose belle;
sì ch’a bene sperar m’era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle

l’ora del tempo e la dolce stagione;
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m’apparve d’un leone.

Questi parea che contra me venisse
con la test’alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l’aere ne tremesse.

Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,

questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch’uscia di sua vista,
ch’io perdei la speranza de l’altezza.

E qual è quei che volentieri acquista,
e giugne ’l tempo che perder lo face,
che ’n tutti i suoi pensier piange e s’attrista,

tal mi fece la bestia sanza pace,
che venendomi ’ncontro a poco a poco
mi ripigneva là dove ’l sol tace.

Mentre ch’i’ rovinava in basso loco,
dinanzi agli occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.

Quando vidi costui nel gran diserto,
«Miserere di me,» gridai a lui,
«qual che tu sii, od ombra od omo certo!»

Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patria ambedui.

Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto
al tempo de li dei falsi e bugiardi.

Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d’Anchise che venne di Troia
poi che il superbo Ilïón fu combusto.

Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
ch’è principio e cagion di tutta gioia?»

«Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?»,
rispuos’io lui con vergognosa fronte.

«O de li altri poeti onore e lume,
vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore
che m’ha fatto cercar lo tuo volume.

Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’ha fatto onore.

Vedi la bestia per cu’ io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi».

«A te convien tenere altro viaggio,»
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
«se vuo’ campar d’esto loco selvaggio;

ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide;

e ha natura sì malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo ’l pasto ha più fame che pria.

Molti son li animali a cui s’ammoglia,
e più saranno ancora, infin che ’l veltro
verrà, che la farà morir con doglia.

Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.

Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurìalo e Turno e Niso di ferute.

Questi la caccerà per ogne villa,
fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,
là onde invidia prima dipartilla.

Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno
che tu mi segui, ed io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno,

ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch’a la seconda morte ciascun grida;

e vederai color che son contenti
nel foco, perché speran di venire
quando che sia a le beate genti.

A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fia a ciò di me più degna:
con lei ti lascerò nel mio partire;

ché quello imperador che lassù regna,
perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge,
non vuol che ’n sua città per me si vegna.

In tutte parti impera e quivi regge;
quivi è la sua città e l’alto seggio;
oh felice colui cu’ ivi elegge!»

E io a lui: «Poeta, io ti richeggio
per quello Dio che tu non conoscesti,
a ciò ch’io fugga questo male e peggio,

che tu mi meni là dov’or dicesti,
sì ch’io veggia la porta di san Pietro
e color che tu fai cotanto mesti».

Allor si mosse, e io li tenni dietro.

Dante by Doré

Illustrazione di Gustave Doré per il primo canto dell’Inferno.

Nel video è contenuto un breve riassunto del Canto, tratto dal canale YouTube La Divina Commedia in HD

A PROPOSITO DI DANTE E LA COMMEDIA

La Commedia o Comedìa è un poema in volgare fiorentino e in terzine incatenate di versi endecasillabi. L’opera si divide in tre cantiche che corrispondono all’Inferno, al Purgatorio e al Paradiso, i tre luoghi ultraterreni attraverso cui viaggia il poeta in una sorta di percorso di rinascita e di elevazione a Dio. I canti sono 100. Solo la prima cantica, l’Inferno, ne contiene 34, perché il primo canto è una sorta di introduzione con lo scopo di presentare l’intera opera al lettore.

La Divina Commedia è una summa del pensiero medievale, del sistema di valori e della cultura del tempo di Dante. Il viaggio nell’Aldilà è un elemento simbolico importante, un percorso di conoscenza e redenzione sia del singolo individuo come dell’umanità intera. Non a caso si parla di Dante come di everyman. Ezra Pound scrive: «In un senso ulteriore (La Divina Commedia, ndr) è il viaggio dell’intelletto di Dante attraverso quegli stati d’animo in cui gli uomini, di ogni sorta e condizione, permangono prima della loro morte; inoltre Dante, o intelletto di Dante, può significare “Ognuno”, cioè “Umanità”, per cui il suo viaggio diviene il simbolo della lotta dell’umanità nell’ascesa fuor dall’ignoranza verso la chiara luce della filosofia» (E. Pound, Dante, in Lo spirito romanzo, 1910).

Vi sono evidenti elementi autobiografici nella Commedia. Dante scrive in seguito a un periodo molto travagliato della sua esistenza (si sente addirittura in pericolo di vita) e riporta nell’opera vicende da lui vissute e persone da lui incontrate. La rinascita riguarda sia la capacità dell’autore di superare la sua fase esistenziale estremamente critica (la selva oscura) sia una forma di redenzione religiosa e di riscoperta piena della fede grazie alla figura simbolica di Beatrice. Virgilio guida il percorso di Dante nei tre regni, e segnatamente nei primi due per lasciare il testimone poi a Beatrice: egli rappresenta un forte richiamo alla ragione come guida, che libera l’umanità dall’errore e la porta verso la giustizia, la verità, la pace. Mentre Beatrice l’avvicina a Dio.

La Commedia può essere letta quindi come il racconto del viaggio dello spirito che anela alla purificazione, alla redenzione, alla forma di conoscenza più alta, che nell’immaginario medievale è la conoscenza di Dio; si tratta di una costruzione complessa in cui entrano in gioco elementi reali, personali, ideali di rinnovamento religioso e politico che rivestono la Chiesa, l’Impero, e le lotte civili che interessavano le città del suo tempo, a partire dalla sua Firenze. Una costante del poema è proprio questo trasferimento degli elementi del reale su un piano simbolico.

Tutto ha inizio con il proemio del Canto I, nel quale Dante esprime la sua condizione iniziale, il senso di smarrimento provato in quel periodo della sua vita (nel mezzo del cammin, cioè a 35 anni), quando si percepisce come perso nella celebre “selva oscura”, un’immagine allegorica efficace che ci riporta alla dimensione della grave crisi psicologica, del traviamento, dell’allontanamento dalla vita virtuosa. Si accorge però della presenza di un monte illuminato da una luce; egli prova a salirvi ma incontra tre belve che rappresentano i tre vizi. La lonza è allegoria della lussuria, il leone della superbia e la lupa dell’avidità. Dante cade precipitando per il pendio spaventato dalla visione delle tre belve. Proprio allora si manifesta Virgilio, al quale Dante chiede aiuto.

Commenti

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  1. Scritto da Mario Graziano

    Il settecentenario della morte è per me occasione per rileggere Dante e ricordare il prof Quatrano che all’ITAS di Eboli mi rese piacevole e interessante lo studio della storia e della letteratura e mi inculco’ l’amore per la ricerca storica, che vive in me tuttora alla bella età di ottanta anni.