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A, B, C DELLA DEMOCRAZIA. C COME COSTITUZIONE / Fra gli effetti collaterali della guerra, c’è anche l’intenzione di demonizzare il dissenso

Da tempo, anche prima di questa recente ondata bellica, che lambisce l’Europa e che infiamma il Mediterraneo, erano in atto azioni volte a disprezzare, tacitare, rimuovere, cancellare. La insofferenza per il dissenso, o con ciò che non è “in linea”. Forme bellicose, anche se senza armi aggrediscono i non allineati con chi ha il potere, chi governa le Istituzioni, chi controlla i Media o chi critica opinionisti e politici. Insofferenza o ostracismo verso opinioni considerate “negative”. Da tempo seguo, cercando di comprenderne le ragioni – ma con fatica -, il fenomeno detto cancel culture. Fenomeno nato negli USA in tempi recenti, in ambito culturale sia di destra che progressista.

Il principe bacia Biancaneve che dorme? È violenza, e la fiaba va cancellata o bonificata. George Washington aveva schiavi? Allora cancelliamolo dalla storia, danniamone la memoria. Woody Allen è stato accusato di incesto? Allora, non pubblichiamo la sua autobiografia. Cancelliamolo. Negli Usa l’autobiografia di Allen non è stata pubblicata. In Italia sì. Tanti altri sono gli esempi di come cancellare o cambiare il passato, o ciò che non piace del presente. Mi chiedo quale sia il significato di tutto questo. Semplificare, per insofferenza della complessità che ogni storia o vita contiene? Dominare lo spazio pubblico, purificarlo, sgomberarlo da chi guasta il paesaggio?

Dissenso Protesta

Forse, più o meno consapevolmente, si intende depotenziare la democrazia, e ridurne le esagerate “pretese”. Per esempio, il detestato, non di rado, Articolo 3 della Costituzione, che garantisce eguali diritti a tutte le differenze. Che pretesa! L’Articolo 21 sancisce la piena libertà di parola, e pensiero, in ogni sua forma. Si escludono censure e sequestri. È una evidente polemica con il fascismo, che censurava e vietava. Eventuali interventi di sequestro di opere a stampa, o altro, sono demandati alla Magistratura – per esempio pubblicazioni contrarie al buon costume, dissero i morigerati Costituenti -, non al Governo. Che pretesa! Ma noi siamo eletti dal popolo sovrano, dicono governanti, in molti diversi luoghi. E “vogliamo i pieni poteri che il popolo ci ha dato!”.

Una reazione alla difficoltà di confronto fra posizioni o opinioni fortemente conflittuali, è il cosiddetto politically correct. Una correttezza che nei regimi totalitari significa, di fatto, richiedere obbedienza, divenuto poi una richiesta di rispetto per ogni differenza, da non disprezzare, diventata poi una definizione ironica di discorsi non chiari, che non esprimono pensieri in modo netto, o radicale. Tutta questa lunga storia segnala una difficoltà nell’affrontare le differenze, i conflitti.

Norberto Bobbio

Covid e guerre hanno accentuato questa irrisolta tensione, che mi riporta a un libro di Norberto Bobbio Il futuro della democrazia (1984). Un futuro al quale Bobbio guardava con preoccupazione. Scrive Bobbio: “… soltanto là dove il dissenso è libero di manifestarsi il consenso è reale… soltanto là dove il consenso è reale il sistema può dirsi democratico”. Naturalmente, un dissenso conflittuale non violento.

Un dissenso non violento che può essere tale se ci si pone un obiettivo, educare al dissenso e a dire consapevolmente “no”. Covid e guerre ci allontanano da questa definizione di democrazia. Ho seguito con sconcerto situazioni ricorrenti, che confermano l’allontanamento dalla Costituzione e dal pensiero di Bobbio. Alcuni esempi recenti. Misure cautelari preventive di attivisti per l’ambiente. Repressione violenta di manifestazioni studentesche (3 ottobre scorso a Torino). Gogna al posto di argomentato dissenso, soprattutto nei social. Amico o nemico. Una bella alternativa!

Per riprendere una indicazione di Bobbio, si è avuto un percorso storico che ha consentito il formarsi di democrazie, dallo stato di natura polemico allo stato civile agonistico. Agonismo come può esserci in attività sportive ben condotte, in discussioni parlamentari ben condotte, senza gogne e senza politically correct. Allora, un dubbio. Anche nella parte del mondo che si considera “civilizzata” e, per il momento, non terreno di guerra, siamo regrediti, stiamo regredendo verso lo stato di natura polemico? A ostilità con azioni e parole armate, che non rinviano a conflitti agonistici argomentati?

A questo ho pensato, in questi ultimi tempi, a proposito dell’Articolo 33 della Costituzione, primo comma, che recita “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Articolo ignorato in casi che qui segnalo. Per Paolo Nori era in programma, all’inizio del 2022, pochi giorni dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, all’Università Bicocca di Milano, un seminario dedicato a Dostoevskij (nella foto sotto). Seminario annullato, per evitare tensioni – motivazione data a Nori – dato che l’autore in esame era russo. Incredibile, pensò Nori, dato che l’autore, nel 1849, era stato condannato a morte dallo Zar perché aveva letto un testo proibito. Incredibile o ridicolo? Ridicolo e pericoloso.

Dostoevskij

Un altro caso. La soprano Anna Netrebko è stata licenziata dal Metropolitan di New York perché non si è dichiara ostile a Putin. Forse desidera – ho pensato – potere tornare senza paura nel suo paese, dove chi dissente spesso cade morto per terra, o si ammala, irrimediabilmente, o finisce in carcere, e ci resta. Il caso Navalny è drammaticamente esemplare. L’Arena di Verona, invece, ha rispettato l’Articolo 33 e quest’estate Anna Netrebko a Verona ha cantato, in Traviata, e con grande successo.

Ora mi trasferisco a Francoforte, alla Fiera del libro, dove la scrittrice palestinese Adania Shibli avrebbe dovuto ricevere il premio LiBeraturpreis. Premio annullato, perché Hamas aveva attaccato Israele. Il caso Nori, è assurdo e ridicolo. Il caso Netrebko e Shibli? Hanno forse la colpa di essere nate in un certo paese? Reati di opinione? Il libro di Shibli ha contenuti inquietanti? Sì, ha contenuti inquietanti.

Adania Shibli

Adania Shibli (La Nave di Teseo)

Allora, i casi sono due. O tornare allo stato di natura polemico, come è in molti luoghi del mondo, dove il greco polemos si sta svolgendo in senso stretto, guerra armata, mattanze senza limiti, o, senza sangue, una gogna per chi dissente da me.

O dare inizio – perché sarebbe un inizio in quasi tutto il mondo – non tanto o solo alla educazione alla pace, ma alla educazione al conflitto. Dando così a polemos, parola gerca che è polisemica, il significato, appunto, di conflitto, movimento, confronto. Movimento e conflitto che può produrre cambiamento, a volte nella direzione da noi auspicata, a volte in senso contrario. Come accade nelle democrazie, per quanto imperfette. Ma dove posso parlare pubblicamente, scrivere e pubblicare senza la paura di cadere morta per terra. O colpita da damnatio memoriae. Non è tutto, ma è molto.

All’iniziale citazione di Bobbio, aggiungo, per concludere, una citazione di Erich Fromm, in un’opera degli anni Sessanta, La disobbedienza e altri saggi: «Nell’attuale fase storica, la capacità di dubitare, di criticare e di disobbedire può essere tutto ciò che si interpone tra un futuro per l’umanità e la fine della civiltà».

Negli stessi anni Don Lorenzo Milani scriveva L’obbedienza non è più una virtù, a sostegno delle ragioni degli obiettori di coscienza. Per questa sua opinione, subì un processo. E Hannah Arendt, nel rispondere e rispondersi alla domanda Che cosa è politica? dice “Politica è risolvere i conflitti senza violenza”. Ma scandalo della guerra dura da diecimila anni (Elsa Morante).

E, se ci avviciniamo a noi, troviamo da tempo, anche prima della guerra, una grande insofferenza per il dissenso e per il conflitto fra opinioni diverse. Soprattutto in ambito politico, civile, culturale. Con l’intenzione di demonizzare il dissenso e di ostacolarne l’intenzione di renderlo visibile.