Le Rubriche di RavennaNotizie - A, B, C Democrazia

A, B, C DELLA DEMOCRAZIA. C COME COSTITUZIONE / Nascere maschi non è una colpa: lo diventa se i maschi non diventano uomini pensanti. E nascere donna non deve più essere una condanna

Uomini in numero crescente, a Ravenna, e maschi in subbuglio. Per uomini intendo chi ha il dono del pensiero critico, come direbbero Socrate, Platone, Aristotele. Attributo che Aristotele riconosceva solo agli umani di sesso maschile. Per Socrate e Platone la questione è aperta. Platone fece dire a Socrate di avere imparato la maieutica e il dialogo da Diotima, sacerdotessa di Mantinea. Ma Aristotele è vincente fino a Otto Weininger – il suo Sesso e carattere è di chiarezza lampante -, e oltre. Le parole dette da Mussolini sulle donne – leggeva con entusiasmo Weininger – e il suo personale rapportarsi alle donne hanno fatto scuola, arrivando, sotto mentite spoglie, e più o meno sotto traccia, anche in parole e pensieri di uomini della Costituente. Radici culturali profonde resistono, nascoste e clandestine in pensieri politici e giuridici che sembrano dire altro.

Ma uomini pensanti anche a Ravenna sono in crescita, e prima della tragedia di Giulia. Uomini di Ravenna sono scesi in piazza – questo è stato il terzo anno -, per iniziativa di un uomo, Ivan Morini, che non è solo, ma ha dietro di sé il lavoro pluridecennale di due associazioni, una nazionale, Maschile Plurale, e una ravennate, Femminile Maschile Plurale. Non a caso, forte di questa sua esperienza, Ivan Morini ha scritto una lettera aperta al presidente del Senato Ignazio La Russa, che sembra avere scoperto ora il femminicidio, fenomeno di rilevanza sociale e strutturale. Che è fenomeno diverso dallo stupro, individuale, di gruppo, di guerra. Esiste dall’inizio della storia umana. Non ci risulta che La Russa abbia risposto.

Inoltre, altro dato fino a non molto tempo fa improbabile, un altro uomo pensante, Guido Ceroni, di lunga esperienza politica nelle Istituzioni e non solo, ha proposto una sua pubblica riflessione su questi temi, riflessione sulla quale tornerò. Ma posso fin d’ora dire, partendo da un interrogativo di Guido Ceroni, che nascere maschi non è una colpa. Lo diventa se i maschi non diventano uomini pensanti. E nascere donna non deve più essere una condanna.

Stop Violenza Contro Donne

La manifestazione del 25 novembre 2023 a Ravenna

Il femminicidio è fenomeno contemporaneo. Perché?

Perché c’è un altro fenomeno contemporaneo, che ha acceso polveri latenti nei maschi poco umani, socraticamente parlando. La crescente libertà delle donne fu fortemente sostenuta dalle donne della Costituente, che misero, almeno in parte, per iscritto quello che movimenti femminili e femministi chiedevano da quasi due secoli. E, in particolare negli ultimi decenni, in modo crescente, le donne hanno preso sempre più sul serio l’articolo 3, l’uguaglianza dei diritti, e le disuguaglianze “di fatto” – opportuna citazione che ho trovato nella riflessione di Ceroni -, da rimuovere. Un lento costruirsi del mondo – almeno sul piano dei diritti civili, molto meno su quelli sociali -, nelle forme indicate dalla Costituzione.

Questo movimento e spostamento della storia in forme nuove, in maschi presenti trasversalmente in molti diversi mondi, crea subbuglio e, prescindendo del tutto dalla storia e dalla Costituzione, vedono il mondo dei diritti come un mondo diventato contrario rispetto a quello che è, a loro avviso, il mondo costruito sulla diretta via. La via di prima. Una via di prima evocata con nostalgia da maschi – anche da femmine – in movimenti politici crescenti, e non solo in Italia. Questo desiderio di “retta via” è un dato sociologico e storico da studiare e spiegare. Spesso, a tal proposito, mi viene in mente una comparazione storica. Dopo lo tsunami che furono la Rivoluzione e la gigantesca avventura napoleonica, ci fu una violenta reazione, quella che a scuola si studia come Età della Restaurazione, che rimise sulla retta via dell’assolutismo molti paesi, Stati italiani in primis. La Restaurazione durò decenni, ma i virus della libertà non furono cancellati. Riemersero, anche se parzialmente, e il pensiero liberale e azioni militari e rivoluzionarie ottennero Costituzioni. Stop and go, direbbe oggi uno spot modello social.

Quindi, oggi c’è un lato del mondo – quello dei diritti civili – che a qualcuno sembra un ribaltamento contrario a quello che la natura, di per sé buona, vuole. E reagisce, indicando strade di Restaurazione del prima. Pensano. La natura ama i sani, e disprezza gli ammalati, per esempio. Alla Natura matrigna che la medicina cerca di contrastare, da Ippocrate ai giorni nostri, si deve invece obbedire. Mentre sfruttamento, lavoro mal pagato, lavoro femminile pagato meno di quello maschile, va bene e rimette le cose al loro naturale posto, come un sano darwinismo sociale comanda. Ma Darwin si ribella, nella tomba. Ne sono quasi certa.

Vannacci Simonini

Mussolini

A proposito di Vannacci maschio contrariato e della cultura di destra

Questo è il messaggio di Roberto Vannacci, di mestiere militare, presente a Ravenna pochi giorni fa per presentare il suo libro Il mondo al contrario. È un mestiere naturale fare il soldato, come orgogliosamente dice di sé Vannacci? È naturale e normale che un soldato scriva un libro? Giulio Cesare direbbe di sì. Cesare ha scritto meravigliosamente bene ed era uomo talmente erotico che provava piacere sia con i maschi che con le femmine. Normale? Gli obiettori di coscienza al servizio militare sono anormali. Che maschi sono, quelli che non amano imbracciare il fucile? Quelli che disertano, dagli eserciti di Putin e di Zelensky? Concordo, sì, sono fuori dalla antica norma. Chi sceglie il servizio civile? Sono sfaccendati, pensano i nostalgici della retta via. Il fatto è che le vie sono diventate più d’una, in molte parti del mondo, se non in tutte. E queste vie plurali che non vanno nella stessa direzione creano subbuglio. È comprensibile.

Il generale Vannacci, appunto, disprezza le vie plurali. Non lo nasconde e ne scrive. È positivo che ne scriva e che dica quello che pensa. È preferibile a chi, invece, giura su una Costituzione che in realtà disprezza – la nostra – e che intende stravolgere. Per noi, parte di una opinione pubblica attenta a quello che accade nel mondo, nel proprio paese e nella propria città, è necessario chiederci quale sia il significato delle parole di Vannacci e, in particolare, perché il suo libro ha tanto successo di vendite. Su questo punto, concordo con Ivan Simonini. Un po’ meno che si decida di presentare un libro che non si è letto e che viene paragonato al successo che ebbe a suo tempo Il Nome della Rosa di Umberto Eco. Umberto Eco con il suo successo rafforzò l’egemonia culturale della sinistra? Giudizio a mio avviso infondato. È un grande libro, non un libro di sinistra. È un libro che a suo tempo risultò irritante per molti fondamentalisti di vario colore. E credo che la cultura di destra, in Italia, abbia qualcosa di meglio da mostrare del contrariato Vannacci.

Ci sono quindi anche a Ravenna maschi contrariati, e con loro femmine felici di essere solidali con i loro maschi contrariati. Femmine che le donne, come mia madre Silvia, molto impegnata per l’emancipazione delle donne, che per lei era soprattutto avere gli stessi diritti degli uomini, e molto impegnata nel difendere la sua personale libertà, anche nell’interno domestico, chiamava le anti donne. Come furono molte donne fasciste, innamorate del duce, così maschio, così emozionante, già quando era un socialista massimalista, con i suoi infiammati comizi. Mussolini entrò in conflitto con Anna Kuliscioff, a proposito del voto alle donne. La sua mozione massimalista vinse il congresso socialista di Reggio Emilia, nel 1912, e impose a Turati di dire no al voto alle donne. E così fu.

Ma anche attorno al caso ravennate riguardante Vannacci, altri uomini pensanti si sono fatti sentire. Intanto perché, nell’avere scelto di dimettersi dal Comitato scientifico dell’Associazione Tessere del ‘900, in merito alla presentazione del libro del maschio contrariato, ci hanno fatto capire quale è il valore che danno all’essere in una associazione, dove si presume che le scelte culturali siano condivise. In questo caso non lo sono state. Quindi, bravi gli uomini pensanti, come Alberto Giorgio Cassani e Claudio Spadoni, che ho avuto modo di ascoltare in più di una occasione, anche nel Salone dei Mosaici, mosaici bellissimi e giustamente riscoperti. La storia spiega perché sono stati riscoperti in ritardo. Un fatto di cancel culture, fenomeno al quale mi oppongo? All’inizio, nel dopoguerra, probabilmente fu così. Ma quando c’è un fenomeno di cancel culture, subito dopo la caduta di una dittatura, uno sforzo di contestualizzazione va fatto. Altre conferenze ho seguito nello stesso luogo, alcune di valore.

Enrico Galassi e la sua fuga da Ravenna: fu davvero colpa degli antifascisti?

Ma intendo, in particolare, soffermarmi su una mostra, curata da Alberto Giorgio Cassani e promossa dal Comune di Ravenna e dalla Associazione Tessere del ‘900. La mostra Enrico Galassi l’artista fuorilegge. Una mostra veramente molto bella, che ha fatto scoprire alla città un artista ravennate di valore. Una mostra aperta al pubblico solo per pochi giorni. L’arrivo del covid, nel marzo del 2020, rese tutto un deserto e ogni spazio pubblico inaccessibile. Ma quello che non mi convinse, nel giorno dell’inaugurazione della mostra – ripeto, bellissima – fu l’associare l’espressione fuorilegge non tanto nella introduzione al catalogo, a cura di Cassani, ma nella insistenza con cui Piero Casavecchia, presidente di Tessere del ’900, nella postfazione al catalogo, oltre che nel discorso di apertura della mostra, associò la lontananza da Ravenna di Galassi alla sua damnatio memoriae, in quanto fascista avanguardista e perché aveva appoggiato la rivoluzione fascista. Il fascismo è stato una rivoluzione? Certo, ha rivoluzionato il peraltro debole stato liberale. Ma che abisso di diversità troviamo fra il Mussolini del 1919, che invitava alla rivoluzione proletaria, anticapitalista, antimonarchica, antiborghese, anticlericale, antisocialista perché i socialisti erano troppo moderati, e il Mussolini della marcia su Roma, che ebbe successo perché Mussolini aveva già costruito una alleanza fra capitalismo industriale e agrario. Una rivoluzione antiliberale e antisocialista. Fu questa la rivoluzione intrapresa da Galassi, avanguardista appena adolescente, come molti altri giovani del tempo.

galassi

Enrico Galassi

Allora, a proposito di Galassi discriminato perché fascista, cominciai a riflettere e a mettere in relazione date e informazioni, alcune presenti nelle mie memorie famigliari. Galassi fuggì da Ravenna nel 1927. Aveva venti anni. Una fanciulla innamorata di lui aveva scelto il suicidio, portando probabilmente con sé le ragioni del gesto e Galassi le ragioni della sua fuga. Il fascismo aveva trionfato da tempo, anche a Ravenna, e così sarà fino al 1944. Ma Galassi non torna a Ravenna. Perché è fascista? Ma anche a Ravenna i fascisti abbondavano, come ovunque. E gli antifascisti anche a Ravenna erano presi a bastonate e imprigionati, come accadde al mio nono materno Guido. Ho saputo della storia della fanciulla perché mio padre conosceva la famiglia. Anch’io, dagli anni del Liceo in avanti. E nella memoria di mio padre c’era la storia della fanciulla suicidata per amore, mai associata però a un giovane fascista. Quando Galassi fuggì da Ravenna aveva venti anni, e non lasciò memoria di nefandezze in mio padre antifascista, molto severo con chi, fascista, ne aveva combinate, di cose gravi.

Anche da noi i picchiatori, appunto, abbondavano. I bellissimi mosaici della Casa del Mutilato, edificio progettato negli anni Trenta, furono realizzati fra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta, per opera di bravissimi mosaicisti ravennati che si erano formati, come Enrico Galassi, alla scuola di Mosaico della Accademia di Belle Arti di Ravenna. Un interrogativo interessante allora è, almeno per me. Perché Enrico Galassi, genio multiforme e valido mosaicista, non partecipa ad una impresa fascista – i mosaici hanno tema fascista – in anni in cui il fascismo era ancora vivo e vegeto, a Ravenna? Fra i mosaicisti ravennati c’è chi, per ragioni non politiche, non desidera averlo accanto? Conoscendo la famiglia della fanciulla, penso che questa non sia una ipotesi infondata. E dopo la guerra, non torna Ravenna perché teme, per il suo passato di fascista? Nella memoria dell’antifascismo ravennate c’è il disprezzo per Francesco Balilla Pratella, perché aveva scritto l’Inno delle Brigate Nere. Per questo era stato messo in pensione anticipata – dirigeva l’Istituto Verdi – dalla prima Giunta, dopo la Liberazione, sindaco il repubblicano Riccardo Campagnoni. Ma non c’è traccia di Galassi nella memoria antifascista di chi votò per la pensione anticipata di Pratella.

Ultima notazione, a mio avviso interessante, da un punto di vista storico. Chi ha riportato a Ravenna il fuorilegge Enrico Galassi? Leggo nel catalogo curato da Alberto Giorgio Cassani che la prima mostra di Galassi a Ravenna si è tenuta nel 1970 alla Galleria Mariani. Galleria gestita da un mio amico di famiglia, Edoardo Burrini. Chi era Edoardo? Oltre che dirigente della CMC, era un appassionato di arte. Non solo, nella primissima gioventù andava “a scuola di antifascismo e di marxismo” da mio padre Nello. Divenne poi, dal 1943, gappista e, con un gruppo di altri giovani gappisti, tentò, inutilmente, di liberare dal carcere di Forlì nel gennaio del 1944 Mario Gordini e Settimio Garavini. In quella occasione cercò di scavalcare un muro per entrare nel carcere. Cadde ed ebbe ad una gamba un danno che lo tormentò fino alla fine dei suoi giorni. Gordini e Settimio Garavini furono fucilati il 14 gennaio del 1944.

Edoardo era nato nel 1923 e, giovanissimo impiegato delle CMC, detta, nel periodo fascista, “La Ravennate”, fu inviato nell’ufficio di Zara, dal 1941 al 1943. In una intervista rilasciata al Corriere di Romagna nel 2005, qualche anno prima della sua morte, a proposito delle foibe, raccontò che era stato testimone del tempo che aveva preceduto le foibe. In Jugoslavia, dove ebbero inizio azioni partigiane contro i nazifascisti prima che in altri luoghi in Europa, i fascisti italiani occupanti erano odiati dalla popolazione.  Burrini racconta in modo preciso gli orrori compiuti dai fascisti italiani, in accordo con i fascisti jugoslavi. Le foibe, in buona misura, si comprendono (non vuol dire giustificarle) se si ha presente il contesto che le precede.

Antifascista, gappista, comunista. Burrini riportò a Ravenna Galassi. Sapeva che era stato fascista? Non so. Sicuramente non avrebbe accolto nella sua Galleria un fascista dal passato criminale. Non tutti i fascisti ebbero un passato criminale. Burrini nel suo lavoro di gallerista ebbe la collaborazione di un giovane Claudio Spadoni, che curò mostre nella Galleria Mariani. Edoardo fu il primo a parlarmi di Claudio. Mi disse è molto bravo. Claudio Spadoni, dimissionario e uomo pensante.

Ma, per chiudere il cerchio di questa piccola storia, il soldato Vannacci ha presentato il suo libro nel Salone dei bellissimi mosaici fascisti, dove il fascista Galassi non aveva lavorato. Gli andirivieni della storia e i suoi imprevisti.

Manifestazione a Ravenna

L’indignazione delle femministe è permanente, per il reato più antico e internazionale che esista

Una risposta, ora, al quesito che trovo nella interessante nota di Guido Ceroni, uomo pensante. Le femministe non si indignano per gli stupri che quelli di Hamas hanno compiuto sulle donne israeliane? Non si indignano per gli stupri compiuti, sia da tedeschi autoctoni che da immigrati magrebini a Colonia, qualche tempo fa?

Rispondo. L’indignazione da parte delle femministe di ogni scuola di pensiero è permanente, ovunque nel mondo ci siano stupri. Poco si sentì narrare delle donne stuprate da soldati liberatori – per esempio marocchini e francesi “bianchi” delle truppe alleate -, donne dette marocchinate, prede di guerra. Solo in tempi recenti si sa con dati e testimonianze, anche per iniziativa di femministe tedesche, degli stupri di soldati dell’Armata Rossa entrati in Germania, pare in numero grandissimo. Donne da predare, da usare, fra odio o vendetta. L’indignazione di noi femministe è permanente per il reato più antico e internazionale che esista. Un reato antico, appunto. Se dovessimo andare in piazza per ogni stupro saremmo in piazza ogni giorno e ogni ora.

Ma stupro e femminicidio non sono la stessa cosa. Lo stupro usa il corpo di donne, carne che eccita, ancor più se si sottrae. Il femminicidio vuole cancellare non un corpo, ma la libertà che lo abita. E, qui a Ravenna, andremo in piazza ogni volta che, in Italia, una donna portatrice di libertà verrà uccisa. Mai più, speriamo.

La rubrica di Maria Paola Patuelli riprenderà verso la fine di gennaio, dopo una pausa per le feste di fine anno.