A, B, C DELLA DEMOCRAZIA. C COME COSTITUZIONE / 2024, che anno sarà?… se l’umanità non ha ancora trovato il modo di opporsi alla ingiustizia con mezzi giusti

Che anno sarà il 2024? È un interrogativo che ci poniamo all’inizio di ogni anno. Di solito, è un interrogativo che rivolgiamo a noi, in attesa degli eventi che segneranno la nostra singolare vita. Impossibile, nel caso di questo 2024 appena iniziato, non proiettare l’interrogativo su quanto accadrà nel mondo.

Il mondo mai, forse, come nel presente, è interconnesso in ogni sua parte. La mondializzazione, almeno dagli anni Novanta, ha avuto, nell’immaginario collettivo, un significato riguardante l’economia e il viaggio di merci con qualunque mezzo, in terra, in acqua, in aria. Nel presente la mondializzazione è diventata ben altro, ovunque, in Europa e nel mondo intero. Ha un volto meno rassicurante di merci in movimento. Altro si è messo in movimento. Eventi recenti hanno reso del tutto evidente nuove mondiali interconnessioni. Il covid nel 2020, partito da un punto del globo e in pochi mesi arrivato in ogni singola dimora. La mondializzazione di un morbo che un tempo si sarebbe chiamato peste. Due anni dopo, Putin e la sua operazione militare speciale. Speciale, come una serata di gala, speciale. Invadere e bombardare, piccole cose!? Centinaia di migliaia di morti nell’esercito russo, chissà quanti militari ucraini e civili ucraini morti. Gli effetti poi, in Europa e nel mondo. La crisi energetica, che ha turbato gli europei forse più dei morti russi e ucraini.

Il mondo – Occidente e Europa a parte, che sono appunto solo una parte del mondo – simpatizza più per Putin che per Zelensky. Un antico odio per l’Occidente può manifestarsi più chiaramente di un tempo. Chiediamoci perché. La risposta non è difficile. Per chi, come nel mio caso, non simpatizza né con Putin né con l’ingenuo Zelensky, che pensava di farsi forte con la Nato, avendo e volendo la CIA in casa – ci ha spiegato Lucio Caracciolo – che forse non ha dato buoni consigli o forse mirati consigli – c’è solo dolore e sconcerto. Senza le capacità di analisi di Caracciolo, che, senza scomporsi, dice e scrive cose terribili, come farebbe un medico nello spiegare una malattia e le sue devastanti conseguenze, a noi, persone comuni, cosa viene da dire per spiegare? Nulla. Nulla, per noi, può spiegare razionalmente quanto accade nella storia, e non da ora.

E pensare che, dopo la caduta del Muro di Berlino, con il patto di Varsavia azzerato, pensammo, ecco, della Nato non ci sarà più bisogno. E vincerà la politica di pace di Gorbaciov. Invece, la Nato è in grande espansione. Che sia ingenuo anche l’amico – di Berlusconi – Putin? Eterogenesi dei fini? Indebolire l’Occidente causando, di fatto, la diffusione della Nato attorno alla Russia? È geopolitica, questa, o un assurdo e tragico gioco di ping pong. Tu batti un colpo e io ti rispondo ribattendoti un colpo di eguale o superiore potenza, e così via. In genere si direbbe, a chi risponde non con una pallina, ma con un pugno spropositato Su, non fate i bambini! È questa la geopolitica? In mano a bambini, o meglio, infanti. Infanti, alla lettera, perché non comunicano a parole, ma a bombe.

L’ONU fu fondata perché il mondo non fosse più in mano a bambini infanti, che con tutte le loro cosiddette buone ragioni giocano al massacro di vite altrui. Questo stanno facendo i potenti della terra, quasi ovunque. Quelli visibili e quelli all’ombra, alleati nel produrre e usare armi. Un bel risultato, dopo quasi Ottanta anni dalle fine della seconda guerra mondiale. Si disse, allora, che l’ONU sarebbe stata una forza grande nel mantenere la pace e che mai avrebbe fatto la fine della Società delle Nazioni, sciolta come neve al sole, di fatto, con l’avvento delle dittature. L’ONU non è sciolta, ma è inascoltata.

E, come se il quadro non fosse già nero, ecco il 7 ottobre 2023, ben più nero di un precedente settembre nero. Ci furono ebrei, prima e dopo la shoah, che cercarono di spiegare che non era il caso di dare vita a uno Stato basato su una religione, la loro. Molto nota è la lettera di Hannah Arendt a Ben Gurion, all’inizio del 1948. Ben conoscendo le tragedie causate dai nazionalismi, suggeriva che Israele e Palestina – inscindibili nella stessa terra – fossero concepiti come un unico Stato, dove ogni cittadino e cittadina avesse pari diritti, doveri, dignità. Ho ritrovato, in questi giorni, un’altra fonte. Un carteggio fra Sigmund Freud e Chaim Koffler della sezione viennese del Keren Hayesod, organismo sionista fondato a Londra nel 1920. Riporto alcuni passi della risposta di Freud alla richiesta di firmare una petizione di condanna degli scontri tra mussulmani ed ebrei scoppiati in Palestina nel 1929. La risposta di Freud è del 1930, quando la shoah non era ancora neppure immaginabile, mentre l’antisemitismo in Europa era assai vivo, e in modo crescente, da decenni. “Certamente, io nutro i migliori sentimenti di simpatia per le libere aspirazioni, sono orgoglioso della nostra università a Gerusalemme, e mi rallegro del prosperare dei nostri insediamenti. Ma, d’altra parte, non penso che la Palestina possa mai diventare uno Stato ebraico né che il mondo cristiano, così come il mondo islamico, possano un giorno essere disposti ad affidare i loro luoghi sacri alla custodia ebraica. Mi sarebbe parso più sensato fondare una patria ebraica su una terra nuova, non gravata dalla storia… Riconosco anche, con rammarico, che il fanatismo irrealistico dei nostri compatrioti ha avuto la sua parte di responsabilità nel risveglio della diffidenza degli arabi. Non posso provare alcuna simpatia per una devozione mal interpretata, che fa di un pezzo del muro di Erode una reliquia nazionale e, a causa sua, sfida i sentimenti delle popolazioni locali”.

Una lettura veloce e disattenta di queste parole, come se fossero scritte da anonimo, potrebbe far pensare a una voce antisemita. Invece Freud, ebreo, era soltanto antisionista, in disaccordo con uno Stato ebraico su base etnica e religiosa. Sigmund e Hannah furono visti con sospetto, in patria e nel mondo, sia da antisemiti, perché ebrei, che da ebrei, perché non d’accordo con il sionismo. C’è un passo, nella risposta di Freud “fondare una patria ebraica su una terra nuova, non gravata dalla storia…” da soppesare, vedendone l’ironia. Freud era uomo troppo colto per non sapere che terre vuote non ne esistevano, a parte l’Antartide. Forse si riferiva, scherzosamente, a un’idea nata in ambito antisemita nella seconda metà dell’Ottocento. Ripulire l’Europa dagli ebrei portandoli in massa in Madagascar. Idea che venne ripresa dalla Germania nazista, negli anni Trenta. Ma il Madagascar non era né nuovo né vuoto. C’era la popolazione malgascia, autoctona, con una sua storia. Freud era inoltre del tutto consapevole che ai sui compatrioti l’ipotesi Madagascar sarebbe sembrata ridicola. La risposta di Freud a Chaim Koffler si conclude così “Giudichi Lei stesso, se, con un simile atteggiamento critico, io sia la persona giusta per svolgere il ruolo di consolatore di un popolo scosso da una speranza ingiustificata”.

È lo stesso sospetto che circonda, oggi, molte persone della comunità ebraica americana che chiede, da mesi, la sospensione dei bombardamenti di Israele su Gaza. Sia le speranze che i bombardamenti possono essere ingiustificati, perché non giusti. Il trauma che la Shoah ha impresso su buona parte – non tutta – del popolo ebraico, una paura permanente di un proprio annichilimento, che ha alle spalle millenni di sofferenza divenuta da atavica a permanente, continua a tenere aperta una ferita che sembra senza rimedio. Continua il ping pong fra insediamenti ebraici in continua espansione in terra palestinese, condannati dal diritto internazionale e dall’ONU, e reazioni armate di Hamas. I civili ancora vittime di una tragedia senza fine. È genocidio del popolo palestinese, come dice ONU? Come pensa il Sud Africa che ha denunciato Israele alla Corte di Giustizia dell’Aja per genocidio. È genocidio? Formalmente non lo è. I palestinesi non vengono uccisi per il loro genos, come fu invece per gli ebrei. Ma sta diventando un genocidio di fatto, per azzerare la loro presenza in territori dai quali Israele li vuole cancellare. Di fatto, se il ping pong continua. Lo sguardo critico di ebrei del passato lo aveva previsto.

Questo accade nel mondo, in questi primi giorni del 2024. A cui si aggiunge la nuova pagina di guerra fra Houthi e navi mercantili nel Mar Rosso, bombardamenti americani sugli Houthi, nuovo conflitto fra Iraq e Iran, Trump che non demorde. E dice “se ero io presidente l’amico Putin non invadeva l’Ucraina. Se vincerò, il resto del mondo si arrangia”. Ordine mondiale o caos mondiale? Il mondo senza ordine. Prima, lo teneva in equilibrio il terrore. Ora lo squilibrio è ovunque e l’atomica non è solo una minaccia, c’è chi minaccia di usarla. L’umanità non ha ancora trovato il modo di opporsi alla ingiustizia con mezzi giusti. Un comune metro che misuri il giusto non si trova. Ad oggi, possiamo ricordare solo tre esempi di chi ha risposto alla ingiustizia con quella che è, almeno per me, una risposta giusta. Gandhi. Luther King. Mandela. La loro è una strada d’eccezione. Imitabile?

E in Italia? E in Europa? Incognite. Le riforme del governo Meloni stanno preparando una Repubblica ribaltata rispetto alla Costituzione del 1948, opposta a una certa idea di democrazia costituzionale, quella che ha chi qui sta scrivendo. Se passerà la “riforma delle riforme” di Meloni, che intende rovesciare l’Italia come un calzino, Vannacci sarà contento, perché il mondo avrà il verso che il generale ritiene giusto. Che fare? Dovremo farci forza tenendo vivo l’atteggiamento critico che Freud ebbe sempre, anche quando la sua amata Vienna lo guardò male. Inconscio? Sessualità? Sogni? Nevrosi? Che roba è? Noi siamo razionali e tutti di un pezzo. Chi, invece, non è fatto della pasta dura dei generali, si avvale delle lezioni di Freud, di Arendt, e della pratica del dubbio di Norberto Bobbio. Dubitare? Dice Vannacci. È una perdita di tempo. Combattere e vincere, in fretta. È politica? È etica?

Certo, Vannacci ha molti fan. È poi il saluto romano ad Acca Larentia nell’anniversario della uccisione di giovani fascisti, nel gennaio 1978. Tre mesi dopo, rapimento, strage della scorta, e successiva uccisione di Moro. Questa era la realtà di quegli anni, una stagione aperta dalla strage di Pazza Fontana, una strage di mano fascista. Anche allora, il metodo ping pong era in auge. Il saluto ad Acca Larenzia non è stato espressione di un piccolo gruppo di nostalgici, ma di una vera falange, assai numerosa; tutti dritti in fila, schierati per un combattimento imminente. È una scena forte. Moltissimi giovani, soprattutto maschi. Interpellati, si dicono orgogliosi di dirsi ed essere fascisti. La recente sentenza della Corte di Cassazione dice che non è reato fare il saluto fascista durante una commemorazione. D’altra parte, Predappio, a un soffio da noi, è un continuo peana fascista a cielo aperto.

La forza di noi antifascisti – sono convinta che il numero di chi è antifascista sia ancora maggiore di chi è fascista, in Italia – dov’è? Come può coerentemente manifestarsi e agire? Riprendo in mano il titolo di un libro, di qualche anno fa, curato da Carlo Smuraglia, Antifascismo quotidiano. Essere antifascisti, non solo dichiararsi tali.

La recente parata fascista di Acca Larentia (foto Il Fatto Quotidiano)

Vorremmo, noi di pasta molle, non dura come la pasta del generale, che il metodo di Bobbio – un kantiano per il quale etica e politica sono due facce della stessa medaglia – potesse incrinare il mordi e fuggi dell’informazione, dei social, i clamori infondati e acritici delle varie propagande, preelettorali, elettorali e post elettorali. Nei mesi difficili che ci attendono, non staremo lontani dal mondo, dall’Europa, dall’Italia. Cercheremo di starci, possibilmente con occhi aperti e attenzione critica. E con pratiche coerenti. Perché l’Italia non è un calzino. È un paese che dovrà ritrovare una bussola perduta. Sarà una doverosa fatica.