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A, B, C DELLA DEMOCRAZIA. C COME COSTITUZIONE / C’è un nesso fra il vento di destra ed estrema destra che tira e la rivoluzione femminista? Sì e ce lo dice l’attacco alle donne

Ho condiviso alcune esperienze di natura civile e politica, il 25 e il 26 gennaio, a Ravenna e a Bologna, sulle quali vale la pena soffermarsi. Nel metter mano a questo proposito, trovo una notizia riguardante Ravenna – situazione da me non vissuta -, i lavori della Commissione Politiche e Cultura di genere del Comune di Ravenna, e del suo esito, che indirettamente si intreccia con le mie riflessioni.

Mi riferisco, in primo luogo, ad un incontro del 25 gennaio, a Ravenna, fra associazioni e partiti, presso la sede ARCI, a cui ho partecipato – il tema Quale Repubblica ci aspetta? -, in merito alle riforme in corso di definizione in Parlamento che, se approvate, ci restituirebbero una Repubblica a pezzi, con Regioni piccole patrie e Parlamento definitivamente fuori gioco. E a un convegno sugli stessi temi, il 26 gennaio a Bologna, a cui ho partecipato, presso la sede regionale della CGIL. Arrivo ad una prima conclusione. Esistono anche qui, a casa nostra, mondi diversi in grado di parlarsi e comprendersi. E mondi impermeabili l’uno all’altro. Lo stesso concetto che ho trovato, sintesi del significato del film Perfect Days di Wim Wenders. Dice Hirayama alla nipote Niko. Il mondo è fatto di tanti mondi. Alcuni mondi possono incontrarsi, altri no. Hirayama non poteva incontrare il padre, e dal padre si è allontanato. Cosa diversa dall’ucciderlo o straziarlo ogni giorno. Indicazione molto saggia per le nostre personali esistenze. Come fare incontrare questa saggia indicazione con azioni riguardanti lo spazio pubblico? Potrebbe avere ricadute positive nell’agire politico? A quali condizioni?

Negli incontri di Ravenna – Ravennanotizie ne ha parlato in modo adeguato, in assenza di altre testate, pur invitate – e di Bologna, donne e uomini, in buon numero, provenendo da storie non solo diverse, ma a volte fra loro in conflitto, anche su temi di valenza costituzionale, hanno condiviso uno spazio non breve di riflessione. Ascolto reciproco e rispetto. Con alcune conclusioni condivise, in questo caso. Non è d’obbligo la condivisione e il totale accordo, negli spazi della politica. La democrazia è tale se c’è pluralismo, il maggior numero e il minor numero. Ma ha valore una democrazia dove il confronto si svolge a scambio di pallonate, irrisioni, insulti? Spettacolo avvilente e frequente, in questo frangente della storia, che ripete altri oscuri precedenti storici.

A Bologna il convegno Premierato, Stato della democrazia italiana e disuguaglianze, promosso dal CDC Coordinamento per la Democrazia Costituzionale dell’Emilia Romagna aveva l’intenzione di mettere a fuoco, da angoli visuali plurali, il significato culturale e politico, non solo tecnico, delle riforme, con la partecipazione del giurista Mauro Sentimenti, del filosofo della politica Carlo Galli – il suo ultimo libro Democrazia, ultimo atto? (Einaudi 2023) -, del segretario regionale CGIL Massimo Bussandri, della costituzionalista Agostina Cabiddu, di Anita Parmeggiani, di Anaao, Sindacato dei medici, e del giovane studente Carlo Nadotti.

Carlo Galli

In conclusione, Massimo Villone, presidente del CDC nazionale, ha tirato le fila. La parte da me svolta riguarda il nesso fra patriarcato, femminismo e il vento fortemente conservatore, a volta di destra estrema, che attraversa l’Italia, e non solo. Il caso ha voluto che mentre a Bologna svolgevo le mie riflessioni femministe, in Comune, a Ravenna, ci fossero i lavori della commissione Politiche e Cultura di genere, che la giornalista di Ravennanotizie, nel darne notizia, ha definito uno show. Che genere di spettacolo? Ci tornerò, in conclusione.

È stato un convegno, quello di Bologna, veramente ricco di informazioni e riflessioni, che suggerisco di riascoltare https://www.facebook.com/CgilEmiliaRomagna/?locale=it_IT

La riflessione da me svolta la ricavo dagli appunti. In premessa ho chiarito che portavo un punto di vista maturato nella operosa vita associativa di Femminile Maschile Plurale, fondata a Ravenna nel 2008, che ha aggiunto al mio impegno civile pensieri che derivano dalla radicalità politica che il femminismo ha portato nel mondo. Punti di vista che mi sembrano di importanza centrale per affrontare il tema stato della democrazia. Una radicalità femminista che ha messo in discussione molto del mondo, diventato, per mano, soprattutto femminista, contrario agli occhi di un noto generale, che ha numerosi fan, anche fra donne. Il generale è nostalgico del mondo di prima. E, quando un ordine traballa, non tutte e tutti sono contenti.

Cosa ha ribaltato il femminismo, rispetto all’ordine precedente? C’è un nesso fra il vento conservatore, di destra, di estrema destra, in crescita, e non solo in Italia – sia chiaro – e la rivoluzione femminista, l’unica rivoluzione del Novecento che ha avuto successo, parole del grande storico Eric Hobsbawm? A mio avviso il nesso c’è. Fra le cause – certo, non l’unica – che troviamo nello spiegare il vento conservatore e di destra, c’è la reazione alla rivoluzione femminista, alla libertà delle donne, un imprevisto destabilizzante. Ad ogni rivoluzione segue una reazione di forza contraria. Restaurazione contro illuminismo. Fascismo contro socialismo. Destra politica e sociale contro la libertà delle donne voluta dal femminismo.

Diciamo – direbbe chi fa storia di professione – che siamo state una concausa, non piccola però. Certo, la crisi energetica incrinò la stabilità progressiva del trentennio d’oro. Non è un caso che il femminismo fiorisca in quel tempo, negli anni Settanta. La società non esiste di Thatcher e Reagan, fu l’ideologia individualista che con il liberismo, fattosi di nuovo feroce, giungla e darwinismo sociale, al quale la crisi crescente dell’URSS sovietica diede una grande mano, ed è il retroterra del paesaggio devastato nel quale ci troviamo. Dopo il 1989, poi, fu dato fuoco alle polveri.

Nel 2016, in occasione di un incontro con Carlo Galli, a Ravenna, che ci aiutò molto nell’impegno referendario, insieme concludemmo che ci aspetta una lunga traversata nel deserto. E qui siamo. La grande questione, ora, è come uscirne, dal deserto, e con chi. Il mondo che la società competitiva, la società che non esiste, appunto, vuole ripulire – o tenere a bada – da soggetti alieni, immigrati, borderline, dalla libertà delle donne. Questo vediamo, in un crescendo accelerato, negli ultimi anni. Il covid doveva renderci migliori? Illusione presto spazzata via, con il seguito di tragiche guerre. Ossigeno per i venti conservatori e di destra.

C’è qualcosa di nuovo, in chi vuole raddrizzare il mondo, e qualcosa di antico. L’antico è fatto di profonde millenarie radici, le radici del patriarcato. Negli anni Ottanta ci furono femministe che proclamarono Il patriarcato è morto. Ne dubitai. Così come, da sessantottina, dentro di me ridevo quando i miei compagni, nelle manifestazioni, dicevano, a voce alta Fascisti, borghesi, ancora pochi mesi. Ve ne accorgerete, dicevo, o dentro di me, o a voce bassa.

Codice Rocco

Nel 1930 viene promulgato il Codice Rocco

Ma, se consideriamo il caso italiano, c’è stata lentezza legislativa nel riconoscere la piena appartenenza al genere umano delle donne. Il codice Rocco, codice fascista, situava con chiarezza significativa le donne, in casa e nel mondo. Potestà maritale, il matrimonio riparatore, violenza delitto contro la morale, riduzione della pena per il delitto d’onore. Le donne dipendono dagli uomini. Il capofamiglia è il marito che la donna deve seguire in ogni sua decisione. Questa è la visione fascista della donna e della famiglia

Le grandi riforme, Statuto dei diritti dei lavoratori, divorzio, riforma del diritto di famiglia, aborto, legge Basaglia, fioriscono negli anni Settanta, più di venti anni dopo l’inizio della Repubblica. Fu l’esito della grande azione collettiva – così ha definito quella temperie storica Paul Ginsborg -, degli studenti, dei sindacati, del femminismo e del formidabile movimento delle donne. Se nella Costituzione non mettiamo la nostra energia e il nostro impegno, resta una carta morta. Parole del padre costituente Piero Calamandri. E negli anni Settanta di energia ne fu profusa molta. Ma la violenza sulle donne divenne delitto contro la persona solo nel 1996.

Radici patriarcali furono talmente resistenti da rallentare l’attuazione dell’uguaglianza – art.3 della Costituzione – e della dichiarazione universale dei diritti umani. Virginia Woolf, in un libro per noi femministe imprescindibile, del 1938, Tre ghinee, lo stesso anno delle leggi razziali in Italia, mette in chiaro il nesso al quale prima mi riferivo, la reazione regressiva e aggressiva al movimento femminista, e lo fotografa con nettezza. Cito “L’oppressione dello Stato fascista non è separabile dalla oppressione dello Stato patriarcale”.

Tre Ghinee

A proposito di radici, PATriarcato, PATrimonio, PATria, ha sottolineato recentemente Daniela Padoan. È questo il mondo che si vuole rimettere in piedi. Un’unica radice dalla quale fare partire un ordine di verticalità indiscutibile. La verticalità del PADRE PADRONE. MATrimonio, MATer, il matrimonio inventato dai maschi per essere sicuri che la madre partorisse figli di lui, maschio.

È in atto una erosione di diritti acquisiti, indeboliti dalla scarsa consapevolezza del fatto che non sono scontati, ma esito di faticoso e accidentato cammino. È il punto debole della democrazia, l’ignoranza del demos. È insopportabile la liberà di generare o di non generare, cresce il disprezzo per le differenze da ridurre a disuguaglianze, la povertà è una colpa, come l’immigrazione. Da esportare altrove. Sono nuove forme di PULIZIA. La propria NAZIONE deve essere pulita e va ripulita.

Che dire? Ci sono state antenne in grado di avvertire questa marea? Ci sono state, ma in ordine sparso. Potrebbe questa marea, che definisco – in modo politicamente scorretto? – di colore nero, diventare uno tsunami? Le grandi riforme degli anni settanta sono il frutto di sommovimenti culturali e civili che hanno consentito di trasformare in leggi ciò che di nuovo stava crescendo. Per quanto contrastato da tensioni forti, e dal terrorismo.

Ho indicato le radici dell’antico. E il nuovo? Abbiamo un capo, di nome Giorgia. Sesso femminile. Rassicurante? Madre, cristiana, italiana. Manca la famiglia, per fortuna. Ma il modello è quello. È sempre PATRIARCATO, da riconoscere anche quando sono le donne ad assumerne la valenza simbolica.

Allora, vogliamo ragionare insieme su come uscire da quello che per noi è il deserto di cui già nel 2016 parlammo con Carlo Galli? In realtà, per quanto dispersi, non siamo poche e pochi. La destra anticostituzionale, che non riesce a dire di se di essere antifascista, ma afascista, intende agire per trasformare il mondo alla propria maniera. Il nostro DESERTO è il loro TERRENO di coltura che si rafforza se il deserto non si ripopola dei nostri – siamo il popolo della Costituzione – corpi, idee, progetti. Nuovi edifici su ataviche radici. Nuovi, una donna CAPO. Premierato, il CAPO voluto dal POPOLO.

C’è molto lavoro da fare. Ma le parole che ho pronunciato nel convegno di Bologna, inconsapevolmente rispondevano al contemporaneo show ravennate. La destra aggredisce, durante i lavori della Commissione prima citata, donne di Linea Rosa e della Casa delle donne. Chi osa criticare l’ottimo maschio bianco romagnolo? Chi osa invitare Associazioni femminili – cosa consentita dai regolamenti – ad una riunione di una Commissione? Aggiungo, possibile che fosse la prima riunione a due anni dall’insediamento? Possibile che, dato l’argomento – azioni contro la violenza sulle donne – fosse stata invitata solo una associazione di donne, e non altre, che sugli stessi temi lavorano da tempo? Possibile che l’aggressione misogina di evidente radice patriarcale, partita da banchi della destra, che ha colpito anche la Casa delle Donne, non presente, non abbia avuto adeguata risposta dai banchi della sinistra?

Flash mob È strage della Casa delle Donne di Ravenna

Flash mob contro i femminicidi della Casa delle Donne

Che la voce “dal sen fuggita” dell’unica associazione invitata – questo leggo nell’articolo di Ravennanotizie – quasi volesse rassicurare Ma noi non facciamo – più? – parte della Casa delle donne!? Rassicurare chi e perché? Chissà che prima o poi non si riesca a capire il perché di questo “non più”. Che sia perché l’Associazione Libere donne, che ha in gestione la Casa delle Donne, chiese al Comune di togliere la sola bandiera di Israele dal Balcone del Comune, dopo il 7 ottobre? Richiesta venuta da più parti, peraltro.

Ma è contro la Casa delle Donne che si levarono veri e propri insulti alle Libere donne, definite pubblicamente fasciste che fanno vomitare. Un linguaggio fascista, senza ombra di dubbio. La storia lo certifica. Fu solo per la bandiera? C’è molto altro. C’è il disprezzo per le donne e la loro libertà. Mi chiedo. Nel caso si diffondano anche nelle città governi di destra misogina e patriarcale, che fine faranno le Case delle Donne, la loro autonomia culturale, la loro libertà? E le città governate dalla sinistra, come intendono reagire? Con nebbiose parole? Con silenzi?

Ritorno alla questione del mondo fatto di molti mondi. Alcuni non possono incontrarsi ma, nel caso della sfera pubblica, non possono ignorarsi. È un dato di fatto. Un fatto che genera conflitto politico, per il quale la storia ha dato vita a luoghi, assemblee, consigli, parlamenti nei quali dispiegare il conflitto, senza armi. E senza parole armate. Riconoscere differenze senza insulti, e confliggere, con parole che rendano comprensibile la propria diversa visione del mondo e di come, il mondo, disegnarlo, cambiarlo.

È troppo o è il minimo che la democrazia richiede?