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A, B, C DELLA DEMOCRAZIA. C COME COSTITUZIONE / La democrazia è ammalata? Qualcuno la vuole morta? Perché votano in pochi? Ancora il fascismo? L’importante è continuare a porsi domande

Mi interrogo. L’estate aiuta a osservare con maggiore distacco ciò che ci circonda? È un auspicio che si rinnova ogni anno. Da tempo, però, il distacco è una eccezione ed è già molto se compare a corrente alternata qualche giornata non troppo preoccupante. Annoto in un piccolo diario questioni che non potevano passare inosservate.

Dopo avere letto un’analisi di Ilvo Diamanti dedicata all’esito delle recenti elezioni amministrative, dell’8 e 9 giugno, in contemporanea con le elezioni europee, che ha visto un forte astensionismo, mi sono posta alcune domande, che qui riprendo. È un voto anche il voto di chi non vota?  È un non senso? O merita riflessione e interpretazione? Sono domande che mi faccio dopo avere letto Nel Paese del non voto il campo largo si rafforza al Sud e al Centro. La destra tiene in periferia, di Diamanti, appunto.

Significa qualcosa, il non voto? Vale zero? Credo che valga la pena riflettere sull’analisi di Ilvo Diamanti, che parte dai dati e dai luoghi. I numeri parlano sempre, anche se il loro è un linguaggio non verbale, che Diamanti trasforma in parole. Anche i luoghi non sono privi di significato. Centri storici, periferie, Nord, Sud. A noi tocca il compito di soffermarci per trovare qualche ipotesi, sperabilmente esplicativa.

Alcuni dati sono chiari. Il campo largo vince nelle città capoluogo. I ceti medio alti guardano a sinistra, o al centro sinistra. Perché? Lo studio e l’informazione c’entrano, oltre a un probabile benessere? Periferie e ceti medio bassi, a destra. Non è del tutto una novità. È un fenomeno rilevante, per lo meno da dieci o più anni a questa parte. Senza dimenticare quando, dopo la prima guerra mondiale, in Italia i ceti medio bassi, e in Germania, ceti medi e parte consistente del proletariato, diedero una grande mano all’imporsi del fascismo, negli anni Venti, e del nazismo, all’inizio degli anni Trenta. Ma dal punto di vista degli ultimi settanta anni, i ceti medio alti che votano a sinistra è uno scostamento rispetto alla ragion d’essere della sinistra, che per originaria vocazione aveva il dare e ricevere – soprattutto, anche se non solo – sostegno dai “bassi” ceti.  Che dire? Perché? Che sia il caso che, chi si pensa di sinistra, da questa grossa contraddizione, o novità, riparta?

L’altra questione. L’astensionismo è sempre più in crescita, da decenni. Chi non si esprime – la maggioranza silenziosa che un tempo comunque si esprimeva, con il voto, e non premiava certo la sinistra – supera numericamente i votanti, in un agone politico dove il voto sembra pesare sempre meno. In realtà, chi vota determina chi governa e chi fa le leggi. Ma perché la maggioranza non vota? Fra il primo e il secondo turno delle amministrative l’affluenza al voto è calata di più di dieci punti, attestandosi al 48%. In questo caso non è tornato alle urne chi non aveva fiducia in nessuno dei candidati passati al secondo turno.

Astensionismo

E l’astensione altissima alla Europee? Indifferenza? O sfiducia totale nella politica e nella rappresentanza? Chiunque vinca, per me pari sono. Tutto si gioca altrove. Hanno ragione, allora? O hanno loro ragioni, gli astensionisti – quasi tutti silenti -, da cercare e da spiegare?

Comunque, arrivati a questo punto della storia, una domanda si impone, per chi vota e per chi non vota. Quali sono le forze che muovono gli eventi? Sono visibili, possiamo quindi giudicarle, votando? O sono più determinanti le forze che non compaiono nelle Istituzioni elettive? Certo, da sempre è nostra convinzione che l’impegno civile non si esaurisca nell’andare al seggio. Ma se l’andare al seggio è accompagnato da partecipazione continua, da richieste esigenti rivolte a chi è nelle Istituzioni, a seguito di una elezione, per chiedere ragione del visibile incomprensibile o comprensibile e giudicato negativamente, può avere ancora senso il voto. O no? E chi si astiene, ha un piano che vada oltre il proprio cortile? O l’individualismo neoliberista si è radicato anche in chi, per storia sociale e condizioni di vita, dovrebbe essere agli antipodi? O sceglie di votare chi è agli antipodi della storia sociale da cui proviene?

Tutte domande a risposta aperta. Domandare è già uscire dai recinti.

Suggeriamo a Sindacati, Partiti, Associazioni, più o meno ruotanti attorno al campo largo, di avviare un profondo lavoro “interrogativo”. Uscendo dal proprio recinto – l’autosufficienza di stampo neoliberista ha permeato quasi tutto -, con l’aiuto di studi storici, politologici, sociologici, psicosociali, economici, di qualità, che abbondano. Ci fu un tempo in cui passione civile sincera c’era, nelle élite e nelle cosiddette masse, anche di vario colore. Potrebbe tornare, la passione civile? È tornata? I giovani per la pace e per l’ambiente, ci sono, e molto appassionati. Certo, non ci si può sedere a tavolino e dire “debbo avere passione civile”. Così non funziona. Quindi, qual è l’auspicio? Una grande alleanza fra le varie passioni civili che hanno la Costituzione come bussola.

Comunque, l’esito delle elezioni europee ha visto spostamenti notevoli, verso forze sovraniste e nella sostanza non europeiste, e dire non europeiste è un eufemismo. In realtà sono in crescita forze neofasciste. Un esito comunque tale da non cambiare, con gli eletti, quello che sarà il “governo” europeo. E Ursula è di nuovo presidente. Ma il Parlamento europeo è cambiato, e non poco. Orban ha dato vita al Gruppo dei Patrioti, una destra estrema che forse fa impallidire il neofascismo meloniano. Chi governa l’Italia è spaccato in Europa. Anche le opposizioni in Europa non sono unite, e alcune in Europa non sono neppure arrivate.

Macron

Le elezioni europee hanno comunque prodotto uno sconquasso in Francia, con la Le Pen primo partito e l’Ensemble di Macron ai minimi. Macron ha reagito con tempistica fuori dall’ordinario, sciogliendo in un battibaleno l’Assemblea nazionale e convocando le elezioni legislative per il rinnovo della Assembela. Tutte le forze progressiste e di sinistra di ogni tendenza e colore – una infinità di sigle – si sono velocemente raggruppate in una lista nominata, non a caso, NFP, Nuovo Fronte Popolare. Il Fronte Popolare vinse in tempi ormai remoti, nel 1936. Al primo turno, Le Pen è di nuovo il primo partito. Il secondo è il NFP, il terzo Ensemble di Macron. Scatta allora, in Francia, una mobilitazione nazionale sociale, politica e culturale come non si vedeva, appunto, dagli anni Trenta. Nel giro di una settimana, collegio per collegio, si concorda la desistenza fra i candidati del NFP che hanno maggiore possibilità di successo. E cosa accade? Che il NFP vince, al secondo turno, con il maggior numero di seggi, Macron è secondo, e Le Pen in terza posizione.

Ora, che dire? Visto che siamo di stoffa umana, che a volte si emoziona non solo per piangere, ci siamo concesse alcune giornate di felicità civile e politica. Vive la France, vive la République! Riandando anche ad alcune memorie. Nel 1996 vinse l’Ulivo di Prodi anche per oculate scelte di desistenza in vari collegi. Funzionò. Non funzionò invece l’alleanza, che dopo due anni fu affossata da mano amica. Tralascio qui i dolorosi particolari. E nel 2022? Potrei fare l’elenco di costituzionalisti, politologi, esperti in leggi elettorali, che invitarono le forze non di destra a studiare forme di desistenza per aggirare l’inganno che il Rosatellum, legge elettorale di renziana memoria, porta con sé. Nulla da fare. Ogni partito – i grandi e i piccoli – volle correre per conto suo. L’esito? Il Governo più di destra che la Repubblica italiana abbia mai avuto, fatto di partiti estranei o ostili alla nostra Costituzione.

E ora, in Francia? Siamo in attesa di Macron, che pare non abbia, questa volta, fretta. Vuole attendere le Olimpiadi, che si svolgeranno a Parigi, incredibilmente. Molti parigini non ne vogliono sapere nulla di Olimpiadi, e sono in fuga. Intanto, i clochard, parte integrante del paesaggio parigino, che la città in genere accoglie senza drammi, sono scomparsi, rinchiusi chissà dove, perché imbruttivano la città. Forse, non è solo per le Olimpiadi che Macron non si muove. E qui inserisco una mia preoccupazione. Il NFP sarà all’altezza dello straordinario risultato raggiunto? Sentirà e prenderà sul serio l’enorme responsabilità che deriva da un risultato elettorale sperato, ma sicuramente superiore ad ogni attesa? Il popolo antifascista a Parigi in piazza della Repubblica esultava e chiedeva unità. O ricompaiono non solo differenze, che ci sono e non vanno negate, anzi, debbono essere materia di confronto e di mediazione, ma divisioni per intolleranza delle differenze stesse? Vecchia eterna storia. Macron spera in questo? Spera in un NFP non all’altezza della grande responsabilità, con Macron libero quindi di procedere a modo suo?

La stessa unità che chiedeva il popolo antifascista a Bologna, alla festa nazionale di ANPI. Pagliarulo ha invitato tutti partiti di opposizione. Quasi tutti hanno accolto l’invito. UNITÀ, UNITÀ, ha chiesto il popolo antifascista accorso in grandissimo numero. Ci sarà, l’UNITÀ? Inoltre. Il 4 luglio in Gran Bretagna ha stravinto il Labour Party di Keir Starmer. Una legge elettorale che esiste da tempo immemorabile, un maggioritario secco che può dare molto peso al mio voto, o azzerarlo, dipende da dove voto. Una legge che non ha il mio gradimento. Comunque, Starmer ha vinto. Ken Loach, un regista che ha la mia grande ammirazione, e tutto il mio affetto, ha dichiarato che fra Keir Starmer e il partito Tory non c’è alcuna differenza. Eppure in Gran Bretagna le condizioni di vita dalla Tatcher in poi sono peggiorate, il welfare fatto a pezzi, le persone non ricche ne sanno qualcosa.

Il social fascismo degli anni Venti e oltre non aiutò l’antifascismo. Quante energie perdute, disperse. Ci volle molto tempo per comprendere che equiparare riformismo e fascismo era un tragico errore, ma ci si arrivò. Non ripetiamolo, questo errore. Quindi, il mio amato Ken Loach?! Un artista meraviglioso, che ha saputo dare voce alla working class in modo straordinario, indimenticabile. Questo è il suo mestiere. Non è un politico di professione, può prendersi il lusso di non sporcarsi le mani.

giacomo matteotti

Mentre tutto questo accadeva, in Europa, nel nostro paese si ricordava il centenario dell’assassino di Giacomo Matteotti. Se c’è chi non ha chiaro il significato di passione civile indefessa, generosa, trasparente, vera, dia un’occhiata alla vita e alla intelligenza di Giacomo Matteotti. Abbiamo già avuto modo di parlarne, in questa rubrica. Molto si è letto e scritto su Matteotti, in questi mesi. In qualche caso – non sempre – si è parlato chiaro, ricostruendo il contesto che precede, anche di diversi anni, e segue, l’uccisione di Matteotti. Grande chiarezza che ho trovato nel libro di Vittorio Zincone Dieci Vite, dove origine sociale, formazione, studi, passione politica e passione per Velia, moglie amatissima, sono passati meravigliosamente al setaccio. Ma per chi volesse avere istantanee di fascismo nella sua più cruda essenza, suggerisco il libro di Riccardo Nencini Muoio per te, presentato il 26 giugno scorso alla Biblioteca Oriani. Un libro di efficacia impressionante nel descrivere, quasi con macchina fotografica o videocamera, quello che giorno per giorno è stata l’Italia dal 10 maggio del 1924 fino a primi giorni del gennaio 1925.

Alessandro Luparini, nel presentare il libro, ha detto parole categoriche. La vera essenza del fascismo è stata – e, aggiungo, è – la violenza. Sono stata colpita, oltre che dalla bravura di Nencini, dalle parole di Luparini, storico che seguo da tempo e che apprezzo per la sintesi, l’acume, il rigore nel riferirsi alle fonti. Ma il Luparini ascoltato il 26 giugno si è mostrato con un solo volto, quello di lettore entusiasta e di appassionato antifascista. Le passioni di Matteotti e i furori criminali dei fascisti. Passioni ardenti della troppo spesso perdente umanità antifascista. Di che tipo erano gli ardori di Mussolini? E il fuoco criminale dei fascisti che dal 1920, senza sosta, si dedicano allo sport da loro preferito. Botte, o, meglio, uccisioni, lezioni date a mano armata, sevizie, un certo piacere nel farle. Nencini dice chiaro. Matteotti fu ucciso, seviziato, evirato, fatto a pezzi. Le cose andarono veramente così. Evirato. Un antifascista finocchio, questo meritava. Finocchio? Sì, perché vestiva con eleganza e, orrore, era un pacifista radicale. Roba da finocchi.

È una storia finita? Si pensava, dopo l’ultima guerra, che fosse una storia avviata ad un inevitabile e irreversibile declino. Errore. Radici vive stanno rifiorendo. Chi imprigiona oppositori e li sopprime, è fascista. Mi pongo un interrogativo. È un giudizio che vale nei paesi che hanno avuto una storia liberale, dove esisteva e esiste lo Stato di diritto? Le violenze nei paesi che non hanno questa storia è fascismo? Un interrogativo che mi inquieta. O il fascismo è la forma estrema del patriarcato, come insegna Virginia Woolf? Il patriarcato autoritario e verticale è universale. Il fascismo, invece, è comparso in luoghi “liberali”, ed è in espansione in luoghi prima indenni. È una reazione patriarcale e feroce alla democrazia, troppo debole, femminea? Lo sto pensando.

Altan

Un unico limite trovo nell’eccellente libro di Nencini. La colpa del successo dei fascisti sembra essere trovata soprattutto nel massimalismo socialista e nel comunismo di Gramsci. Certo, Nencini non tralascia altre responsabilità. Ma il sale brucia soprattutto in sue ferite di stampo gramsciano. Comunque, le responsabilità sono tante e rintracciabili in tutte le forze politiche e parlamentari, per non parlare di Monarchia e Chiesa. Nessuna autorità che poteva farlo accolse l’invito di Matteotti all’unità.

A seguire, quasi per contrasto con l’oscurità feroce dei giorni raccontati da Nencini, ascolto parole di segno opposto, dette a Trieste il 3 e 8 luglio scorso, in occasione della apertura e della conclusione della cinquantesima edizione della Settimana sociale dei Cattolici. Notizie che in via ordinaria non avrei seguito, ma il discorso di apertura del Presidente Mattarella e di chiusura di Papa Francesco riguardano anche i non credenti. Le loro parole sono state di alta intensità politica. Mattarella ha citato Bobbio, filosofo della politica di radicale laicità, ricordando alcuni suoi pensieri, in merito alla democrazia, che esige uguaglianza del diritto di voto, l’importanza delle assemblee elettive, i necessari limiti delle maggioranze, che non possono violare i diritti delle minoranze. La democrazia è tale se è esigente, come scrisse Gianfranco Pasquino, allievo di Bobbio, in un suo libro degli anni Novanta. E non è democrazia quella che si riduce al governare, restringendo diritti e vanificando l’uguaglianza. Quindi, in Italia? Abbiamo una legge elettorale incostituzionale, perché non scegliamo i nostri rappresentanti, eletti in liste bloccate. La più importante assemblea elettiva, il Parlamento, da tempo – e ben prima del governo Meloni – è ai margini, ed è quasi sempre chiamato a voti di fiducia su leggi di emanazione governativa. Cassa di risonanza e funzione notarile.

Referendum Autonomia Differenziata

E la politica? È in arrivo una legge di riforma costituzionale, il Premierato elettivo, che rende il Parlamento un fantasma, con un capo che, con i sodali o in solitudine, governa. Mattarella cita Alexis de Tocqueville. Una democrazia senza anima è destinata a morire. E se non ha i tratti prima indicati, non è democrazia. Una lezione sulla democrazia, quella del presidente Mattarella. La lingua batte dove il dente duole. La democrazia è ammalata. Disse poi Papa Francesco. Ma, ha sostenuto, è l’unica risposta possibile ai populismi e agli egoismi. Incredibile. Sono parole che trovo in molte analisi di politologi. Politologi non amati dai populisti del tipo “America first, per la grandezza e gli interessi della propria Nazione”, e delle Regioni egoiste della Autonomia Differenziata. Infine Papa Francesco ha aggiunto. “Come cristiani abbiamo il Vangelo, che dà senso e speranza alla nostra vita; e come cittadini avete la Costituzione, ‘bussola’ affidabile per il cammino della democrazia”. Bussola. Da ritrovare.

A chi hanno parlato, Mattarella e Papa Francesco? Al gregge cattolico? In politica la parola gregge può essere inquietante. Hanno parlato in realtà ad ogni singola coscienza, anche nella speranza di arrivare ai piani alti. Forse, consapevoli del forte individualismo, ampiamente diffuso, hanno voluto scuotere chi, nel mondo cattolico, non si sottrae alle sirene del motto trumpiano “prima l’Italia!”. A chi pensa che nella storia non cambi mai nulla, ricordo che nel Syllabus del 1864 il Papa Pio IX condannava liberalismo, libertà di coscienza, di stampa, il progresso, e tanto altro. La democrazia era roba del diavolo. Papa Giovanni XXIII rimediò. Papa Francesco è preoccupato come noi per la salute della democrazia. La storia produce spostamenti. In avanti, indietro. Dipende.

La democrazia è ammalata? È ammalata là dove è nata e dove con fatica procede. Non possiamo dire che è ammalata in tutto il mondo. Perché la democrazia non è condizione universale. È malata nel mondo da noi abitato. In un recente articolo Gianfranco Pasquino afferma che la democrazia non è in crisi, ma che può essere assassinata. La forma democratica dei poteri e delle leggi mantiene il suo valore, in assenza di altre forme migliori, come già disse Winston Churchill. Ma perché si stanno armando mani che la democrazia vogliono assassinarla? Il diffuso disinteresse, anche per la partecipazione al voto, per ciò che accade nelle Istituzioni, è ossigeno per le mani assassine. La forma democratica non sopravvive, senza la partecipazione.

E, a proposito di partecipazione, una forte mobilitazione è in atto in tutta Italia, anche al Sud, anche a Ravenna e nella nostra provincia, per la raccolta firme per l’abrogazione della legge Calderoli, legge che ha accelerato la richiesta da parte delle Regioni di avere più poteri, più risorse. Sarebbe un danno enorme per la Repubblica, che vede storiche disuguaglianze mai colmate. L’Autonomia Differenziata farebbe l’Italia a pezzi, anziché affrontare, per risolverle, antiche disuguaglianze. Non a caso, a Ravenna, il Comitato referendario si è presentato ed ha iniziato a raccogliere le firme sabato 20 luglio in piazza dell’Unità d’Italia. Un Comitato referendario che raccoglie una rete di forze molto ampia, come mai prima. Non solo le associazioni de La Via Maestra Insieme per la Costituzione. Ne fanno parte anche quasi tutti i partiti di opposizione. Una sorta di CLN – come è stato osservato – adattato al tempo presente. Bussola, Via Maestra, parole cugine che vanno nella stessa direzione, per dire della Costituzione da far vivere.

Biden

Mentre scrivo, arriva la notizia del ritiro di Joe Biden. L’attentato a Trump è stato ossigeno per Trump. Il ritiro di Biden può essere ossigeno per il fronte democratico? Le nostre piccole cose italiane sembrano minuscole rispetto alle grandi questioni. Eppure, e forse mai come in questo passaggio della storia, il mondo è UNO.

La politica si sta muovendo? Galileo dimostrò che la terra si muove, al di là e oltre i nostri limiti sensoriali. Che si stia muovendo anche la politica? Mi pare si possa dire. In quale direzione si sta muovendo? Molti giochi sono aperti. Un continuo monitoraggio è necessario. Necessario e urgente è uscire dai propri recinti.

DURANTE L’ESTATE LA RUBRICA DI MARIA PAOLA PATUELLI SARÀ A CADENZA MENSILE

Commenti

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  1. Scritto da Giovanni lo scettico

    Scusate, io sto cercando il partito dei lavoratori, qualcuno sa dov’è andato a finire?