FEM NEWS – LA FINESTRA FEMMINISTA / Anche le narrazioni esercitano violenza sulle donne vittime di violenza maschile. Una cronaca corretta è possibile

Perché è importante parlare di come si parla di violenza sulle donne? Oggi è su questo che riflette Nolite, a pochi giorni dal 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile sulle donne. È importante perché raccontando si creano storie e le storie servono da sempre agli umani per spiegarsi come funziona il mondo.

Le storie sono il modo attraverso il quale diamo senso alla realtà, ma come le raccontiamo, le parole che usiamo e la rilevanza che diamo a questo o a quell’aspetto non sono neutri, anzi. Derivano dai pregiudizi che abbiamo e contribuiscono a dar vita ad un immaginario collettivo, soprattutto se queste storie sono raccontate sui mezzi di comunicazione di massa.

La parola chiave diventa stereotipo. Il modo in cui spesso si raccontano fatti di cronaca relativi ad episodi di violenza sulle donne finiscono per esprimere ed alimentare stereotipi ancora diffusi. La giurista, criminologa e scrittrice Maria Dell’Anno, nel suo libro “Parole e pregiudizi” spiega che, nonostante la violenza sulle donne sia ormai stata riconosciuta come un fenomeno strutturale, con radici culturali basati su rapporti di forza storicamente disuguali tra uomini e donne, ancora troppo spesso se ne parla come di un’emergenza e di un fatto episodico “privato”, con radici interne al singolo rapporto di coppia in cui matura.

Ecco dunque che finisce troppo spesso per essere descritta come qualcosa che compare all’improvviso (il raptus), al culmine di una lite (l’episodio privato che riguarda la conflittualità della coppia), finendo per essere in un qualche modo giustificata da questioni come la “gelosia” o addirittura il “troppo amore”.

In un recente contributo online di Save the Children, si cita la ricerca condotta dall’Università degli Studi della Tuscia, nell’ambito del progetto Step – Stereotipo e Pregiudizio, che ha analizzato quasi 17mila articoli di giornale usciti in 3 anni, dal 2017 al 2019, riguardanti casi di violenza domestica, sessuale, femminicidi, stalking e tratta. Una delle principali evidenze emerse è che nel racconto dei casi di cronaca riportati vi è un evidente squilibrio nella rappresentazione del colpevole. Cioè, analizzando le parole utilizzate per raccontare i fatti, gli uomini e i reati che hanno commesso quasi scompaiono, a favore di una narrazione incentrata sulla vittima. La donna diventa il focus del racconto, spesso utilizzando un linguaggio che, più o meno consapevolmente, diventa colpevolizzante. È la sua vita che viene analizzata, quello che ha fatto prima e durante l’episodio violento riportato. Strategie comunicative che portano chi legge ad attribuirle la responsabilità o almeno parte di essa, di ciò che le è capitato.

Facciamo un esempio chiarificatore: se, per raccontare un caso di violenza domestica, dico che la donna è stata picchiata, perché il compagno temeva di essere tradito, sto costruendo una storia che prende le parti dell’uomo violento. Non c’è giustificazione per la violenza, ma il mio racconto sembra suggerirne una. Un altro aspetto sottolineato dalla ricerca riguarda il fatto che le donne non sono quasi mai protagoniste del racconto, ma vittime passive. Spesso vengono chiamate solo per nome, come a sottolineare uno status “filiale” e di mancata indipendenza.

Per non parlare poi dell’uso, ancora diffuso, di termini quali “raptus” o delle allocuzioni che aggirano questa definizione per indicare lo stesso concetto: la perdita momentanea della ragione, l’esasperazione (a cui la donna avrebbe indotto l’uomo con un proprio comportamento); ma anche il riferimento alla “gelosia” e alla conflittualità della coppia. Quel che quasi sempre manca è un riferimento chiaro e netto alla violenza agita dall’uomo sulla donna, punto e basta. Se davvero siamo convinti che la violenza maschile sulle donne sia un fenomeno sistemico, con radici culturali, che niente ha a che vedere con l’amore, quanto piuttosto con la volontà da parte di chi la esercita di esprimere il proprio potere, discriminando le donne, ecco cosa NON dovremmo MAI fare per raccontare un episodio di violenza:

1) usare forme verbali al passivo, che mettono la donna al centro del racconto, minimizzando la responsabilità dell’uomo (dire, ad esempio che la donna è stata picchiata, anziché l’uomo ha picchiato);

2) prendere il punto di vista dell’uomo violento, finendo per glorificarne la figura (è sempre stato un buon padre, è un professionista di successo) e/o per giustificarne le azioni (temeva di perdere i figli, era stressato da problemi economici, era geloso);

3) indicare nel comportamento della vittima la causa della violenza (uccisa perché voleva lasciarlo, picchiata perché pretendeva di uscire con le amiche);

4) usare immagini che rappresentano le donne in condizioni di fragilità, vittime passive, anziché quelle di uomini violenti. E nel caso si parli di un femminicidio, evitare di riportare immagini della vittima assieme al proprio carnefice, magari in posa sorridente, prima del misfatto. Sono offensive nei confronti delle vittime in primis, ma anche e non secondariamente, dei familiari, genitori, figli, fratelli e sorelle, costretti a rivedere l’omicida al fianco di chi gli ha portato via quanto avevano di più caro.

L’eliminazione della violenza sulle donne passa anche attraverso il linguaggio e il modo in cui la raccontiamo può servire a conservare o trasformare la cultura che la giustifica e la alimenta. Pensiamoci.

FemNews di Nolite

Ogni settimana si apre una finestra femminista su RavennaNotizie, dalla quale ogni settimana si respira aria pungente, si espongono germogli al sole, si stende la biancheria profumata al sapone di Marsiglia, si appendono lunghe trecce di aglio e peperoncino, ci si rilassa con un bicchiere di vino e l’ultima sigaretta, si parla con il vicinato, si accarezzano felini senza nome cantando Moon river, si guarda oltre con occhiali di genere. Nasce così una rubrica autonoma rispetto alla testata che gentilmente la ospita, pluralista, apartitica, decisamente femminista, che cerca di trovare il modo di agire per trasformare il mondo. Fem News ha una firma collettiva NOLITE – imperativo negativo latino omaggio alla condivisa cultura umanistica, alla passione politica, alla compulsione alla lettura, alla madre Atwood (Nolite te bastardes carborundorum, Non consentire che i bastardi ti annientino), alla lotta ancillare per dire no al pensiero dominante patriarcale, coloniale e specista.