L’OMBELICO D’ORO / Caro Lars, perdonaci… nessuno a Ravenna ha pensato a te in questo 700° di Dante, a te che sei il più intrinsecamente dantesco

Caro Lars, perdonaci. Perdonaci per non averti mai pensato durante questo Settecentenario. Magari ti aspettavi un invito a una tavola rotonda, una menzione ufficiale, un ringraziamento. Forse sognavi una cittadinanza onoraria da rifiutare, una cosa goffa come: “A Lars Von Trier per La casa di Jack, geniale e controversa rilettura cinematografica della Commedia, che ancora una volta omaggia indirettamente la città di Ravenna”.

O preferivi una mostra? Ho controllato: al Mar non si parla di te né del tuo film. Probabilmente è per le scene di violenza contro le donne. Che ci vuoi fare, sai meglio di me come girano le cose oggi… Forse sarebbe bastato anche solo un biglietto d’auguri per i tuoi 65 anni, accompagnato da una buona bottiglia di Sangiovese. Invece niente. Da Ravenna, solo silenzio.

Ma cosa posso fare io, da solo, a pochi mesi dalla fine di questo 2021? Dalla mia stanzetta posso soltanto cospargermi il capo di cenere e chiederti scusa. Scusa, mille volte scusa.

Lars von Trier

Vedi, caro Lars, siamo gente semplice. Eravamo troppo eccitati per la notizia del nuovo film di Pupi Avati per fare caso a te e a La casa di Jack. Non lo sapevi?

Quest’estate Avati ha girato un film su Dante (sì, Summertime non ci bastava). Sarà basato sul Trattatello di Boccaccio e includerà anche Ravenna, almeno in qualche scena. Protagonista: Sergio Castellitto. Anche un maestro dell’orrore come te qui deve fermarsi e togliersi il cappello. Si può immaginare qualcosa di più spaventoso? La casa di Jack faceva paura, d’accordo: ma vuoi mettere Castellitto, diretto da Pupi Avati, che interpreta Boccaccio?! Ho già i brividi.

Forse il problema è che hai fatto uscire il tuo film troppo presto. Ma soprattutto ti sei macchiato di una colpa imperdonabile (una più o una meno, ormai sei abituato): non hai incluso la nostra città nelle riprese. Il tuo film può anche essere il più intrinsecamente dantesco che sia uscito nelle sale negli ultimi dieci anni, può anche essere il capolavoro estetico che è: ma se in quasi tre ore di pellicola non dedichi neanche un fotogramma alla Tomba di Dante, beh, allora te la sei proprio cercata. Il tuo film, per i nostri standard, non è “dantesco”, punto.

La prossima volta che fai un film sul Sommo prendi la macchina, esci da Copenaghen, valica il Brennero, prendi l’A14 direzione Ancora, fai la circonvallazione, comprati una piadina al chiosco di Ale e dedica qualche ripresa anche al Morigia. Vedrai che ti inviteremo subito, ancor prima di Cannes. Quando vogliamo, siamo ospitali.

Certo che anche tu potevi rendere la tua opera un po’ più accessibile… Ti giuro, Lars, ho provato a confrontarmi con alcuni illustri concittadini, ma è complesso. «La casa di Jack? Fa schifo. È violenza gratuita, voyeurismo, misoginia. E poi quelle scene kitsch finali, dai… Ma siamo matti?»

Vai tu a spiegare quanto di dantesco c’è in questo elenco. Vai tu a spiegare che dimenticarsi di quanto estrema, ed estremamente violenta, è stata l’immaginazione di Dante, equivale a castrarlo. A normalizzarlo. A farne materiale da luminaria, appunto.

Prima di scrivere questo pezzo, caro Lars, mi sono andato a rileggere Cesare Garboli, un grande critico del Novecento italiano. Senti un po’ che scriveva nel lontano 2000:

Materiale e strumento d’arte privilegiato, l’odio non è impiegato solo nell’Inferno. È visibile nel Purgatorio, si nasconde nel Paradiso. (…) Nessuno come l’autore della Commedia (…) ha saputo godere di quella perversione mentale, di quel piacere impotente, o, che è lo stesso, di quell’onnipotenza immaginaria che nasce dal seviziare, torturare, dilaniare con la fantasia i propri nemici vincenti, insediati dove si decidono i destini del mondo, e dal guardarli sanguinare assaporandone i «mille atroci spasimi», per dirla con un altro italiano che un po’ di odio ne masticava, Giuseppe Verdi. Siamo tutti cresciuti in Italia balbettando senza saperlo la lingua inventata da Dante, ma siamo anche nati e cresciuti solidali con la sua crudeltà pacificamente ideologizzata. (…) Gli sterpi dei suicidi, il fango dei golosi, le arche roventi degli atei che non credono alla sepoltura, la merda dei ruffiani, la pece bollente e appiccicosa dei funzionari corrotti, lo strazio di Maometto, tutto andava giù digerito grazie a quella magica parola, a quella pillola, il contrappasso. Eri goloso? Crepa nel fango. Vendevi indulgenze? A testa in giù nel budello di fuoco. Il sadismo veniva ricondotto autorevolmente a esempio supremo di rigorismo ideologico e d’intransigenza morale. Il super-io dantesco era intoccabile. Così Dante si è eretto nelle scuole nostrane a coscienza religiosa, morale e politica del Medioevo al tramonto, e la capacità di odiare si è data un segno diverso grazie al risucchio in cielo di tutto ciò che è passionale e vendicativo.

Immagino ti sentirai a casa, leggendo queste righe. A casa come il tuo Jack dentro la sua costruzione di cadaveri, trucidati con lucidissimo sadismo. Senza offesa, Lars: di fronte ai versi dell’Alighieri le tue immagini sono delicate. Ma sono esatte. Esatte e dantesche quanto più non potevano essere. La stessa forma del tuo film richiama il plurilinguismo dantesco: include quadri, fotografie, videoclip, cartoni animati, autocitazioni. E che cos’e il tuo protagonista, il meraviglioso Matt Dillon, se non una rappresentazione traslata dell’Anticristo?

La casa di Jack

Questo ingegnere, questo anti-architetto ossessivo, questo cripto-Dante gode della distruzione della più sacra delle costruzioni: il corpo umano. Disfa con logica laddove Dio costruisce con logica. Mr. Sophistication (il suo nome da killer) ritiene che la perfezione estetica risieda nel disfacimento, piuttosto che nel compimento. Arriva a considerare Auschwitz “arte stravagante”: è esattamente quello che potrebbe pensare Satana.

Credere che la vera arte, ovvero l’atto gratuito per eccellenza (come gratuita è la creazione divina, non è vero?) consista nel perfezionare il male, il dolore, la distruzione: è possibile immaginare un punto più alto di odio e depravazione? “La vera arte non esiste senza l’amore”, lo contraddice Virgilio: ma come fare a convincere uno come Jack, che pensa che solo attraverso la negazione di questo amore si attui la glorificazione del mondo?

Il tuo serial killer uccide la prima volta per incontinenza; la sua parabola si conclude con l’uccisione del suo migliore amico. Dunque è un traditore dei benefattori, e per questo, come di fatti avviene, merita di finire al centro dell’Inferno. Il suo viaggio infernale assieme a Virgilio (che grandissimo Bruno Ganz, Lars!) è un viaggio fisico, una serie di coloratissimi tableaux vivants, proprio come avviene in Dante.

E poco prima del finale, quando Jack osserva i Campi Elisi, quel luogo di pace e redenzione da cui sarà per sempre escluso, ecco l’unico suo cedimento: fugace, commovente. Jack rivede la sua felicità, l’unica felicità mai vissuta, e piange, perché sa di averla tradita. Il serial killer piange: un contrappasso simbolico, ma fortissimo. Nonostante tutto Jack è umano, come umani sono tutti i dannati danteschi.

Dunque grazie Lars, per questa atipica lezione di dantismo. Grazie del tuo omaggio al nostro poeta. E grazie anche per averci ricordato della potenziale letalità di ogni ingegnere.

Chissà che qualcuno, a Palazzo Merlato, non cambi idea e ti inviti. Mi trovi al chiosco per una piadina.

Delacroix Von Trier

Commenti

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  1. Scritto da gerardo

    Per te caro Iacopo mi spendo pure qui:) e ti dico solo Grazie!!Intanto per il fantastico titolo, che riguarda direi la principale “virtu” della nostra amata città, poi che dire…ai posteri l’ardua sentenza, sperando che qualcuno/a non equivochi e che mi risponda con un POST…