L’OMBELICO D’ORO / A colloquio con Pippo Tadolini, fiero oppositore dei rigassificatori, in cerca della transizione energetica vera e di una sponda politica seria

Bentornati all’Ombelico d’Oro, rubrica culturale liscia per tempi gassati. Lo scorso 14 febbraio, intervistato da Simone Spetia per i microfoni di Radio 24, Stefano Bonaccini ha dichiarato che il rigassificatore di Ravenna si farà, e presto: “Deve essere realizzato entro due anni”, ha detto il Presidente dell’Emilia-Romagna.

Un lavoro assolutamente necessario, per Bonaccini, che alleggerirà i costi in bolletta e che “ci permetterà di non essere più dipendenti dal gas russo”; un progetto che, a differenza di quanto successo a Piombino, dove il rigassificatore continua a essere duramente contestato da diverse associazioni, a Ravenna pare non aver incontrato alcuna opposizione, anzi: “Il progetto ha visto il voto unanime in consiglio comunale e tutti i sindacati e le associazioni d’impresa d’accordo. Perché da queste parti siamo abituati così”, ha chiosato il Presidente, prima di ricordare, ecumenico, che però il futuro non è questo, ma il parco Agnes: “il sole, il vento, l’elettrico e il geotermico”.

Il buon vecchio pragmatismo emiliano-romagnolo, verrebbe da dire: una pezza provvisoria in attesa di convertirci alle rinnovabili. Ma qualcosa scricchiola: non fosse altro che per la durata della concessione garantita a Snam, di 25 anni; e per l’eventualità che anche il rigassificatore di Piombino, dopo tre anni, possa approdare qui, al largo dell’unanime e silenziosa Ravenna.

Unanime la scelta lo è solo apparentemente; perché anche da noi, in realtà, si levano voci contrarie, che in molti fanno finta di non sentire. Una di queste è quella di Giuseppe Tadolini, classe ’52, ex-medico, ecologista e attivista politico di lunga data, nonché coordinatore ravennate della campagna Per il clima – Fuori dal fossile, una serie di associazioni italiane impegnate nella lotta contro i combustibili fossili per la conversione ecologica.

Ho deciso di fargli qualche domanda per capire meglio la posizione del loro coordinamento, intercettandolo fra un impegno e l’altro prima di una “grande manifestazione nazionale contro il fossile” annunciata proprio a Piombino il prossimo 11 marzo.

Pippo Tadolini

L’INTERVISTA

A fine dicembre è arrivata la notizia del possibile secondo rigassificatore a Ravenna. Cosa si è mosso da allora?

«Siamo sempre allo stesso punto. Non c’è niente di chiaro, e già questo è un elemento su cui riflettere: non c’è una programmazione, un disegno definito. A Piombino il rigassificatore sta per arrivare e i piombinesi si stanno opponendo fortemente. Dell’eventualità che il rigassificatore possa rimanere a Piombino più dei tre anni pattuiti dal Presidente della Regione Toscana Giani, non si vuole nemmeno sentir parlare. Si stanno perciò cercando altri possibili punti di approdo, e pare che Ravenna sia una buona candidata perché avrebbe, secondo Snam e secondo le istituzioni locali, le infrastrutture adeguate, almeno una volta completati i lavori per il primo rigassificatore. Il problema è che, nel frattempo, nel mondo dell’oil&gas si stanno già muovendo nuove proposte. L’ingegnere Davide Tabarelli, una delle voci di alto livello di Nomisma Energia, sostiene che Ravenna dovrebbe ospitarne anche tre o quattro di rigassificatori!»

E voi non siete di questo parere.

«Secondo noi Ravenna è, già adesso, troppo invasa da queste strutture. Si parla di un secondo rigassificatore; si propone di aumentare la presenza, l’estensione e la vicinanza dei pozzi d’estrazione, anche prima delle 12 miglia – come indicato nel PiTESAI del governo Draghi; c’è in programma, da parte di Eni, la costruzione di impianti di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica, i cosiddetti CCS. Abbiamo già inaugurato il primo deposito costiero di GNL; siamo candidati a vedere passare da qui il completamento del metanodotto della “linea Adriatica”, che adesso si ferma a Sulmona, ma la cui nuova linea dovrebbe arrivare fino a Minerbio, nel bolognese. Questo territorio è già saturo. Non si tratta di rifiutare il rigassificatore qui, per spostarlo altrove: occorre uscire dal localismo e osservare questi problemi su scala nazionale. Siamo piuttosto dell’idea che insistere, come sta facendo il governo attuale – e come hanno fatto quelli prima di questo – nel sovraccaricare l’Italia di siti collegati al gas sia un’assurdità, soprattuto nel momento in cui si parla di transizione energetica».

I sostenitori del rigassificatore parlano di una transitorietà di questo progetto.

«Nessuno crede alla transitorietà del rigassificatore. La concessione è di 25 anni: la durata di una generazione».

Rigassificatore Singapore

Marcia no Rigassificatore

Si è giustificata la necessità di questo intervento per la situazione d’emergenza creata dal conflitto ucraino.

«Il gas non arriva più dalla Russia, è vero: ma questo non significa automaticamente che siamo in emergenza. Il gas sta continuando ad arrivare da tanti altri posti, e non siamo andati in crisi durante questo inverno, come in molti paventavano. Consideriamo anche che il consumo di gas sta diminuendo, per molti fattori. Se prendiamo le proiezioni di consumo che erano state fatte anni fa, durante la costruzione del TAP in Puglia, vediamo come si siano rivelate del tutto sovradimensionate. C’è stato un aumento di produttività delle rinnovabili (nonostante si stia andando avanti a un ritmo molto più lento di quanto auspicabile): negli ultimi anni, dopo il triennio 2009-2011, le rinnovabili sono state addirittura ostacolate. Insomma, l’emergenza non va assolutamente sbandierata, come in molti stanno ancora facendo, per seminare il terrore. C’è poi un altro aspetto da tenere a mente, quando si parla di emergenza: i rigassificatori non sono pronti! Passerà ancora molto tempo prima della loro messa in funzione. Il rigassificatore di Ravenna, se tutto andrà bene, sarà utilizzabile per l’inverno 2024-2025. Quante cose potrebbero essere fatte, in questo tempo, se investissimo altrove?»

I sostenitori del rigassificatore ribadiscono la necessità di passare per queste “tappe intermedie”, data l’impossibilità di una conversione immediata a un paradigma energetico senza gas.

«Nessuno dice che dall’oggi al domani si debbano chiudere i rubinetti del gas. Abbiamo presente il concetto di gradualità. Non a caso si parla di transizione; ma troppo spesso se ne parla a sproposito, quando nella realtà dei fatti ci si sta muovendo all’indietro. Transizione significa mantenere le fonti fossili indispensabili, ma intanto premere l’acceleratore sulle rinnovabili. Quando si dice rinnovabili si pensa subito alle grandi centrali elettriche eoliche o fotovoltaiche, ma non c’è solo quello. Molto più rapidamente e concretamente si può iniziare a produrre energia in modo decentrato, diffuso e democratico grazie alle comunità energetiche».

Che cos’è una comunità energetica?

«È un accordo fra privati – alcuni produttori, altri consumatori – che si mettono insieme per produrre e scambiarsi energia. A Ravenna sta nascendo la prima comunità solare: le persone, attraverso determinate tecnologie, possono scambiarsi liberamente energia all’interno della comunità. Non è utopia: in Italia ne esistono già diverse. Vicino a noi, nel comune di Medicina, la comunità solare è così sviluppata che i soci si sono costruiti autonomamente le loro colonnine per la ricarica delle macchine elettriche. Spendono 240 euro per 20 mila chilometri: meno della decima parte di quello che oggi si spende in carburante. Ma a Medicina si è creata una situazione favorevole grazie all’appoggio delle istituzioni locali».

Si può parlare di comunità energetica per l’autoconsumo, ma in un sistema energetico nazionale una soluzione del genere sarebbe praticabile?

«Ovviamente non si può pensare di fare a meno di centrali elettriche medie e grandi. Ma se le comunità energetiche fossero esperienze diffuse si potrebbe produrre davvero tantissima energia. In Italia abbiamo 9.000 chilometri quadrati di aree industriali dismesse: perché non installare lì pannelli fotovoltaici per produrre energia? Esempi di questo tipo si sprecano. Penso alle proposte che spesso si fanno sull’eolico: sono tutte da prendere in seria considerazione, ma a nostro avviso non sono i progetti più importanti su cui puntare. Rimangono proposte legate all’accentramento del potere energetico, sempre in mano a Eni, Snam, o altri grandi gruppi».

Alludi ad Agnes?

«Anche. Sia chiaro, sono favorevolissimo a quel progetto, e spero anzi che vada avanti il più in fretta possibile. Ma ad esempio, le proposte di installare enormi parchi eolici sui crinali di montagna, come nel Mugello, portando all’abbattimento di migliaia di alberi, mi trovano fortemente contrario. Ho la massima comprensione verso i comitati locali che si oppongono a quelle esperienze. Ci sono altre possibilità».

Come sempre in Italia ci sono intrichi di interessi diversi difficilmente conciliabili…

«Il problema è proprio questo. Il questo momento l’energia è in mano alla logica del profitto, mentre invece dovrebbe essere considerata un bene comune. Perciò si va sempre a parlare di politica: bisogna pensare a una riforma sostanziale dei colossi energetici, alla loro ri-statalizzazione, al fatto che gli enti energetici, anche a costo di cambiare nome e ragione sociale, dovrebbero diventare gli enti della ricerca e della vera transizione energetica – e siamo ancora molto lontani da questo obiettivo».

È una questione di volontà politica, come per il progetto Agnes.

«Certo. Bisogna cominciare ad agire subito sulle entità delle emissioni. Il movimento ambientalista e la campagna Per il clima – Fuori dal fossile sono nate e stanno lavorando a partire da un ragionamento sulla crisi climatica: la crisi climatica non è uno scherzo. È sotto gli occhi di tutti. Si parlava prima di urgenze: questa è veramente tale! Bisogna mettere delle pezze importanti, e farlo subito. Portare avanti progetti come quello di Agnes significherebbe cominciare ad agire in maniera concreta sull’entità delle emissioni fossili».

Agnes Turbine Pale

Rimane lampante il fatto che in Italia, a differenza che in altri paesi europei, manchino dal dibattito pubblico forze politiche espressamente ecologiste. Chi sono i vostri interlocutori? Non ci sono molte persone durante i vostri incontri, e in genere non si parla abbastanza di queste tematiche, rigassificatore in primis.

«Le sponde politiche sono necessarie e le cerchiamo un po’ dappertutto. Sono stato, come sai, uno dei primi consiglieri comunali di quelle che allora si chiamavano “liste verdi”; ne uscii quando queste liste diventarono un partito. Il nostro auspicio è che la sponda politica la si possa trovare in un largo numero di soggetti politici. L’impressione che ho è che spesso le valutazioni di carattere tattico siano sempre vincenti sulle valutazioni di contenuto. Anche i Verdi, dove ci sono, ad esempio in Europa, preferiscono preoccuparsi di quali alleanze fare a ogni tornata elettorale piuttosto che decidere quali siano i punti cardine della loro politica energetica. Nel nostro coordinamento ci sono persone che fanno riferimento ai Verdi, al Movimento 5 Stelle, all’estrema sinistra o anche a Ravenna Coraggiosa: ma la maggior parte di costoro, quando si tratta di affermare contenuti ben precisi, sembra camminare sulle uova, soprattutto nei casi in cui si faccia parte di alleanze di governo».

Uno dei contro-argomenti forti del PD e dei sindacati rispetto alle rinnovabili è quello economico: la conversione energetica lascerebbe a casa troppe persone, si perderebbero troppi posti di lavoro. È così?

«È una logica miope. Ci sono molti studi scientifici che mostrano come una riconversione ecologica vera comporterebbe una possibilità occupazionale tre volte più alta rispetto all’attuale modello estrattivista. Non solo, si creerebbe anche quella che i sociologi definiscono “buona occupazione”: ovvero posti di lavoro qualificati, nuove professionalità. Gli enti che si occupano di energia di questo dovrebbero interessarsi, e non di impegnarsi ad arraffare fino all’ultimo barile per mettersi in tasca più soldi possibile. Il livello di aggressività con cui le compagnie petrolifere, gasiere e minerarie stanno oggi saccheggiando la Terra non ha davvero precedenti. Si è diffusa la consapevolezza che le risorse non sono infinite, che dureranno ancora per qualche decennio al massimo; e allora bisogna arraffare intanto che ancora ce n’è. La politica dà mano libera a questi soggetti. Chi si è portata la Meloni ad Algeri, per trattare le forniture di gas nordafricano? Uno scienziato? Un economista? Naturalmente l’Eni, nella persona di Descalzi, ovvero il soggetto che farà profitti da quegli accordi. Il mondo istituzionale ravennate non fa eccezione, è legato allo stesso mondo».

Un PD a trazione Schlein potrebbe portare a un cambiamento di passo?

«A Elly Schlein auguro tutto il bene possibile, ma devo dire che da ecologista emiliano-romagnolo sono molto severo nei suoi confronti. Nel periodo di permanenza alla vice presidenza della Regione ha sempre avallato tutto il “bonaccinismo”, per così dire, in nome della stabilità del quadro politico. Nessun gesto di opposizione ai CCS, nessuna opposizione al rigassificatore, all’aumento delle trivellazioni, al metanodotto della “linea Adriatica”. Non si è mai pronunciata. Non credo che una sua vittoria possa segnare un cambio di rotta».

Lo stato dell’arte tecnologico delle rinnovabili è paragonabile, dal punto di vista della produzione, alle fossili? Sarebbe possibile un cambio del paradigma, stando a ciò che sappiamo adesso?

«Sarebbe possibile, assolutamente. Ci sono un sacco di studi a proposito. Il punto critico in questo momento è che in Italia il settore per la produzione delle componenti necessarie alle rinnovabili è rimasto molto indietro. Alcuni decenni fa l’Italia produceva pannelli fotovoltaici; ora non più. A Taranto un’azienda che produce componenti per l’eolico si rivolge al 90% al mercato estero. Ma se si fanno scelte politiche si possono incrementare queste presenze a livello industriale; anzi, sarebbe vantaggioso. I costi del fotovoltaico sono diminuiti tantissimo in questi anni, e parlo per esperienza diretta: dal 2011 a oggi i costi si sono abbassati e la qualità è aumentata».

Uno dei problemi che spesso vengono citati è quello dello “stoccaggio”: come fare a immagazzinare l’energia per conservarla per i momenti critici?

«Certo, è un problema reale: ma gli impianti di accumulazione esistono. Così come esistono gli accumulatori per le singoli abitazioni, si possono realizzare accumulatori per imprese, per centrali, a qualsiasi livello. Rimane ovvio che le varie fonti rinnovabili debbano essere integrate fra loro: è impossibile che non ci sia sole, vento o acqua allo stesso momento, giusto? E consideriamo anche la presenza dell’idro-elettrico in Italia, non indifferente: ci sono tanti sistemi per sfruttare i bacini idro-elettrici in momenti di magra. Occorre un vero investimento per la produzione diffusa e decentrata di energia; ma è anche chiaro che il livello di consumo energetico dovrà diminuire, in futuro. Dobbiamo renderci conto che le risorse non sono infinite».

Sto notando un forte ritorno di interesse, soprattutto nelle nuove generazioni, riguardo il nucleare.

«È vero. Il problema però è che il nucleare non ha ancora risolto quegli stessi problemi che aveva già ai tempi di Černobyl’: non sappiamo dove mettere le scorie. E la fusione è ancora lontana: negli anni Ottanta gli scienziati parlavano di 40 anni; oggi parlano ancora di… 40 anni».

Rimane però il dato che la quantità di scorie nucleari sarebbe enormemente più contenuta rispetto alle emissioni che produciamo oggi.

«Ancora oggi non sappiamo dove mettere le scorie prodotte dalle tre centrali nucleari che avevamo negli anni Ottanta. Ancora non conosciamo un modo per smaltirle. Pensa se ci mettessimo a costruire una decina di nuove “piccole” centrali nucleari, come voleva l’ex ministro Cingolani: dove le mettiamo? Senza pensare al costo della costruzione di queste centrali; senza pensare ai tempi, che si aggirano come minimo attorno ai 10 anni. Ma in 10 anni quante comunità energetiche fai? Quanti parchi Agnes?»

Perché questo silenzio, in Italia e a Ravenna? Perché si è parlato così poco del rigassificatore?

«Il tema della riconversione energetica non porta consensi immediati. Dire che occorre ridurre i costi, vivere in modo più sobrio, cambiare stile di vita non fa certo piacere agli elettori. Per quanto riguarda il locale, c’è da considerare anche l’aspetto della paura. Prendi il caso di Piombino: lì il rigassificatore sarà installato in mezzo al porto, a poche centinaia di metri dalle case. Per questo ci sono state quasi cento manifestazioni, e le piazze erano sempre piene anche in una città di 30 mila abitanti».

È dunque uno sfogo tipicamente nimby, cioè non nel mio cortile?

«All’inizio sicuramente lo era: ma devo dire che, nel corso delle proteste, la città ha sviluppato una presa di coscienza molto diversa. Hanno accettato di buon grado, ad esempio, di ospitare una manifestazione nazionale contro il fossile, il prossimo 11 marzo. Manifestazione indetta da Per il clima – Fuori dal fossile e dalla Rete nazionale contro i rigassificatori – una rete che raccoglie i comitati territoriali che si stanno unendo per costruire un movimento nazionale. Stiamo iniziando a raccogliere l’adesione stabile delle associazioni ambientaliste, sebbene alcune realtà politiche permangano ancora un po’ di tentennanti…»

Il rigassificatore si farà. Si parla spesso del futuro di Ravenna come capitale dell’energia rinnovabile. È possibile questo futuro senza un cambiamento politico importante?

«È possibile questo futuro a patto che non solo la politica, ma la società tutta, prenda a cuore la questione della transizione ecologica. Penso ai nostri sindacati, timidissimi su questi temi, perché una componente molto forte di essi è legata al mondo dell’estrattivismo. Qualcosa però si sta muovendo. Durante gli ultimi Fridays for Future erano presenti formalmente la FIOM e l’FLC-CGIL, il sindacato degli insegnanti. Il mio auspicio è che i sindacati decidano di inserire la transizione ecologica anche nelle vertenze, seguendo l’esempio dei lavoratori GKN a Firenze. Operai che lavoravano per il mondo dell’automobile hanno fatto delle proposte di piani industriali alternativi ecologici: è possibile. Il futuro di Ravenna potrà essere legato all’energia: ma proprio per questo dovrà caratterizzarsi rispetto alle nuove ricerche e alle nuove tecnologie, nell’ottica di un progressivo – e ripeto progressivo – abbandono delle fonti fossili. Ma l’abbandono deve essere tale».

Commenti

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  1. Scritto da mirko

    Bella intervista, il cambiamento climatico è una questione molto seria, le drammatiche immagini sullo stato dei fiumi, delle montagne e dei laghi è più che documentato. Non è una fioritura di margherite a Novembre a preoccupare come scriveva qualche pazzo, basta farsi un giro nei consorzi di bonifica, nel delta del Po, nelle campagne e parlare con chi ci lavora per comprendere l’entità di ciò che accade. Gli eventi climatici straordinari sono più che raddoppiati, sulla Costa ne abbiamo toccato con mano. A mio modesto avviso anche ognuno di noi, non gli elettori che sono rimasti tre gatti, si deve impegnare a fare meglio, usando meno possibile l’auto, tenendo 19 gradi in casa, facendo la raccolta differenziata, insegnando ai nostri figli, e via andare.

  2. Scritto da ST

    Le solite chiacchiere degli ambientalisti cerchiobottisti.

    I rigassificatori vanno visti come assicurazioni, che in caso di blocco nelle forniture via tubo (di solito meno costose di quelle via nave) garantiranno la possibilità di variare fornitori e cercarli in tutte le parti del mondo.

    L’eolico andrebbe autorizzato praticamente ovunque, non è che un crinale del Mugello sia una roba da Lista dell’Unesco… moli, campi… altro che 12 miglia: dove c’è vento dovrebbe esservi una pala (ma tra un po’ quelli del ‘fuori dal fossile’ lasceranno spazio agli ‘amici del fratino disturbati dal ronzio delle pale’ e riavremo nuovi NIMBY.

    Ah: non abbiamo avuto problemi con gas, quest’anno, perchè è stato caldo. Se no li avremmo avuti, altro che se li avremmo avuti 🙁

  3. Scritto da mirko

    Il cambiamento climatico è una una questione molto seria ST e non è un con le offese che si combatte. Comportati bene!

  4. Scritto da Giovanni lo scettico

    “fuori dal fossile” andrà anche bene, ma perchè nessuno ci spiega come ottenere energia solare ed eolica in una bella notte nebbiosa d’inverno?

  5. Scritto da Iacopo Gardelli

    “Rimane ovvio che le varie fonti rinnovabili debbano essere integrate fra loro: è impossibile che non ci sia sole, vento o acqua allo stesso momento, giusto? E consideriamo anche la presenza dell’idro-elettrico in Italia, non indifferente: ci sono tanti sistemi per sfruttare i bacini idro-elettrici in momenti di magra. Occorre un vero investimento per la produzione diffusa e decentrata di energia; ma è anche chiaro che il livello di consumo energetico dovrà diminuire, in futuro. Dobbiamo renderci conto che le risorse non sono infinite”

  6. Scritto da Porter

    Soliti bei proposito avulsi dall’ingegneria. A gennaio, nella riunione condominiale, mi sono visto raddoppiare il preventivo per l’anno in corso a causa del’aumento del gas.
    Nessuno però mi dice quanto mi costerebbe la bolletta elettrica se dovessi scaldarmi con l’energia da fotovoltaico e da eolico. Se con quelle energie mi dovesse triplicare il preventivo condominiale farei la fame.
    Gli ambientalisti manco lo sanno perchè ragionano su filosofie e non su ingegnerie.
    Invece di prendersela con il rigassificatore e di pensare che ci potrebbe essere la possibilità anche di un attentato al gasdotto algerino stile Nord Stream 2 ed essere proprio nei pasticci, dovrebbero spendere ogni energia per aiutare la ricerca su pannelli molto più economici di quelli ora in commercio.