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RAVENNA FERMO IMMAGINE / 7. Nel tempio dell’Augusta, fra stelle e girali d’acanto, una cerva fra cervi, come san Lorenzo e pecorella speciale del Buon Pastore

Ricordo al lettore che stiamo parlando di Galla Placidia e del suo Mausoleo. La croce della cupola si trova al centro di un cerchio costituito da sette stelle, simbolo non già dei sette pianeti che alluderebbero al paradiso cristiano, bensì al coro angelico, in accordo con quanto si legge nel prologo dell’Apocalisse. Il significato apocalittico è poi sottolineato dalla presenza dei quattro esseri alati che, secondo il testo giovanneo, cantavano lodi a Dio, per quanto qui non osannino al trono, ma alla croce.

In questo caso, quindi, essi non devono essere interpretati come simboli degli Evangelisti in quanto nel mausoleo non è ancora intervenuto quel processo di mutazione che li qualificherà come tali in altri mosaici ravennati successivi (Cappella arcivescovile, San Vitale, Sant’Apollinare in Classe) ove sono costantemente caratterizzati dalla presenza del Vangelo.

Galla Placidia

La foresta dei girali di acanto

A memoria della leggenda della fanciulla di Corinto, l’acanto, che cresce spontaneamente nella terra incolta, divenne nell’antichità simbolo di verginità e di trasformazione. Ed è proprio questa forte rappresentazione che ci porta ad incontrare l’intenzione di Placidia.

Il percorso verso una costante rinascita fu ben conosciuto e praticato dalla nostra Augusta: quindici anni di ostacoli, di cadute, di momenti di afflizione e scoraggiamento, affrontando i quali Placidia intese giungere, rinnovata, alla meta finale.

Una testimonianza autobiografica dunque e di fiduciosa speranza, quella di Placidia, che compare nella doppia replica come cerva col capo chino per il dolore delle violenze subite, ma pur sempre protetta dentro la foresta dei girali di acanto che da lei si lasciano attraversare e la condurranno al Cristo Redentore.

E con lei – perché non fantasticare un poco – identificare gli altri due cervi nei due mariti, Ataulfo e Costanzo che ebbero ad accompagnarla nelle due svolte decisive della sua vita?

Galla Placidia San Lorenzo

Galla Placidia diventa San Lorenzo

Nel mausoleo la figurazione di San Lorenzo si inserisce potentemente in quella simbologia di morte-resurrezione-vita che costituisce il leitmotiv di tutta la decorazione del tempio.

Ma la mente di Placidia era corsa molto più oltre. Lei e Lorenzo, entrambi spagnoli, entrambi di sangue ardente, come il dialogo di Lorenzo col Papa e poi col Prefetto che viene descritto da Sant’Ambrogio. Entrambi devoti al magistero della Chiesa, entrambi maturati negli anni trascorsi a Roma, entrambi collocati ai vertici del potere della Chiesa e dello Stato: migliaia di uomini e donne da soccorrere e condurre verso il bene con sentimento di servizio che entrambi hanno nutrito nella loro vita.

Il “tesoro della Chiesa” appartiene ad entrambi e allora Placidia compie verso San Lorenzo quel passo decisivo che si chiama sovrapposizione di identità: lei diventa San Lorenzo; lui può diventare l’Augusta che amministra il tesoro della Chiesa.

il buon pastore - Mausoleo Galla Placidia

Una pecorella davvero speciale

Sullo sfondo di un paesaggio idillico-pastorale, costituito da rocce e arbusti stilizzati, immerso in un cielo aurorale di color azzurro chiaro siede, in posizione centrale, Cristo, col capo nimbato, vestito di una tunica d’oro e di un manto di porpora. Regge con la mano sinistra una lunga croce astile ed è affiancato su ciascuno dei due lati da tre pecorelle che si rivolgono tutte verso di lui, pur nella diversità delle pose. Una di esse non è una pecorella qualsiasi.

La lunetta del Buon Pastore si trova sopra la porta di ingresso (e di uscita) al mausoleo, in una posizione non certo casuale, bensì calcolata in virtù del suo contenuto simbolico: il regale Buon Pastore, vera e propria “porta del cielo” promette una condizione psicologica di serenità nel presente e una eterna condizione di beatitudine, dopo la morte.

Fu senza dubbio obiettivo ultimo del progetto decorativo far contemplare il divino, in cui Bene e Bellezza coincidono, e che proprio Galla Placidia volle simulare. Naturalmente Galla Placidia non dimenticò mai, anche nelle vicende più tristi della sua vita, di essere il rappresentante di Dio in terra: il suo Buon Pastore, che lei avrebbe incontrato alla fine del suo viaggio terreno, volle raffigurarlo attraverso una audace analogia tra imperialità e divinità.

Il pastore qui appare per la prima volta senza gli abiti corti e il bastone che gli sono tipici; bensì vestito d’oro e porpora, abbigliamento tipicamente imperiale. La contemporanea presenza dei tratti di una giovinezza ideale, dalla lunga capigliatura a ciocche fiammate e dallo sguardo direzionato: la pettinatura che finisce per assumere una valenza quasi trionfale, contribuendo a creare un nuovo significato non eroico, ma morale, al binomio “buono” e “bello”.

Ora Galla Placidia è morta. L’Augusta esce dalla porta del suo mausoleo e così come avviene ad ogni defunto di presentarsi al giudizio del Re dei Re. Anche Placidia viene chiamata dinnanzi a Cristo; ma lei, appunto, non è una pecorella tra le altre, ma propriamente una pecorella-imperatrice. E allora, in quell’istante mirabile che l’arte ha fissato anche per il nostro sguardo, la pecorella appoggia il muso sulla palma aperta del suo signore. Non è il suo un supremo gesto d’orgoglio da tramandare ai posteri, ma solamente l’affidamento totale e irrevocabile per l’eternità dell’imperatrice che volle sempre essergli fedele.

Galla Placidia