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RAVENNA FERMO IMMAGINE / 21. La Banda Pelloni schierata in palcoscenico ovvero l’invasione di Forlimpopoli, con i ricchi che tremano e la follia a casa Artusi

Sera di sabato 25 gennaio 1851. Dai colli scendevano sulla pianura folate di vento freddo mentre cadeva, a tratti, una pioggerella sottile. Al suono dell’ora di notte (in inverno, le 20) nella cittadina di Forlimpopoli i custodi delle tre porte si accinsero, come di consueto, a chiuderle.

Fin dal giorno 22 il Passatore aveva condotta la sua banda giù dalle montagne di Toscana; la masnada non era numerosa, erano in quindici, ma, in compenso, c’era il fior fiore della ribalderia e dell’audacia.

FERMI TUTTI, NESSUNO SI MUOVA!

A leggere le deposizioni dei numerosi testimoni quando riferiscono sul modo col quale la Banda si presentò agli spettatori, in quella memorabile sera, c’è veramente da dedurre che la paura abbia tolto a molti la percezione esatta dei fatti, il ricordo stesso degli avvenimenti. Tra gli spettatori che conservarono una certa calma che permise loro di ricordare meglio degli altri, figura Nicola Artusi, di anni 50, possidente: “Nel momento di incominciarsi il secondo atto della commedia intesi un certo bisbiglio nel teatro e non sapendo che fosse e credendo anzi che la Forza avesse impegnato baruffa col popolo, mi affacciai al palco per sapere che fosse. In quel momento si alzò il sipario e con mia grande sorpresa vidi, invece degli attori comici, tre o quattro assassini con cinturoni di cuoio e schioppi impostati verso la platea piena di gente, imporre silenzio all’uditorio”.

Le ingiunzioni furono le seguenti: “Fermi tutti, nessuno si muova dal suo posto, nessuno azzardi di uscire, ognuno stia quieto”. I banditi erano tutti armati con schioppi a due e qualcuno anche a quattro canne. Vestivano tutti con saccona di velluto, pantaloni di vari colori, e molti col panciotto di seta.

Gaetano Zanfilippi di anni 27, donzello del Comune e, a tempo perso, suonatore di tromba, suonava anch’egli quella sera in orchestra, di qui fu prelevato da un bandito, condotto sul palcoscenico e costretto a leggere ad alta voce una carta su cui erano scritti col lapis i nomi dei Signori. Al buon giovane, non tolsero nulla.

I designati Signori, se erano in teatro, venivano prelevati, condotti nelle rispettive case da uno o due briganti i quali, con le buone o con le cattive, si facevano consegnare denari e oggetti preziosi. I malandrini hanno un obiettivo ben precisato ove sperano di fare un bottino considerevole: il Monte di Pietà. Fu, invece, l’unica impresa che andò loro a vuoto, fermati dalla robusta porta del Monte che resistette ai colpi delle accette

A casa di Agostino Artusi, possidente e commerciante, in fama di danaroso, all’irrompere dei malandrini il vecchio riuscì a fuggire, mentre le sue tre figlie si dileguarono su per i tetti. Una di esse, Geltrude, per lo spavento provato divenne pazza e morì nel manicomio di Pesaro. A rappresentare la famiglia rimase il figlio Pellegrino, il futuro scrittore del celebre libro sulla cucina, che aveva allora 30 anni e che si comportò con molto coraggio pur non riuscendo ad impedire che i briganti facessero in casa sua un vistoso bottino, sia in denaro che in oggetti preziosi.

Pellegrino Artusi

Pellegrino Artusi

Banda Pelloni

L’assalto della banda del Passatore al teatro di Forlimpopoli in una stampa d’epoca (Fototeca Gilardi / Agf)

A TEATRO CON IL BOTTINO

Nel teatro, lo spettacolo doveva essere davvero interessante: sul palcoscenico i comici e le comparse, vestiti in abito eroico, se ne stavano muti e basiti non meno degli avviliti gendarmi che erano guardati a vista da un bandito; il popolo della platea non osava fiatare. I ricchi, nei loro palchetti, se ne stavano rannicchiati e tremanti in attesa di sentir pronunciare il loro nome dalla lista fatale. Non c’è scampo per nessuno: i designati sono prelevati senza tanti complimenti, portati a casa, costretti a indicare i ripostigli del denaro e dei preziosi e riportati in teatro. Le operazioni si svolgono con la massima celerità e con un ordine relativo.

In platea, addossato al palcoscenico, un tavolino riceveva le prede. Ivi i malandrini che rientravano in teatro, andavano a scaricare il bottino. Essi erano allegrissimi e quando arrivava qualcuno di loro ben fornito lo complimentavano, scambiandosi motti e arguzie. Evidentemente erano soddisfatti della buona riuscita dell’audace impresa. Taluni bevevano rosolio e liquori trovati e ogni tanto facevano suonare l’orchestra e ballavano al suono della stessa, dandosi di tanto in tanto il cambio, mentre gli altri loro compagni andavano saccheggiando per le case.

IDENTIKIT DI STEFANO PELLONI

Giovanni Drudi, Rosa Belluzzi, Giovanni Golfarelli e la ostessa Virginia Giunchi descrivono in sorprendente sintonia il Passatore. “Avrà l’età dai 25 a 30 anni, di statura giusta, largo di spalle, pallido in faccia, con pochi peli nei baffi e nella mosca che sono neri. Sotto uno degli occhi, mi pare il destro, ha degli acini di polvere sulfurea internati fra la pelle”. “Uno ve n’era di statura mezzana, di faccia molto pallida, con baffi e mosca scura, non molto folta; aveva due occhi neri molto vivaci e sotto uno degli occhi che ora non saprei dire quale aveva una marca rossastra”. “Di tutti quelli che ho veduto mi è rimasta impressa la fisionomia di uno. Era costui un uomo di circa 30 anni, statura media, molto pallido in viso, con baffi e mosca di pelo poco folto. Aveva, sotto uno degli occhi, non saprei dire quale, una macchia turchina come da polvere”. “Mi restò impresso uno di circa 30 anni, di faccia pallida, occhi neri molto vivaci, mosca e baffi neri poco folti e si mostrava il più compassionevole”.

Sono più di tre ore e mezzo che il sacco dura e ormai non c’è altro da prendere, visto che la porta del Monte di Pietà si ostina a non cedere. La Banda Pelloni si dispone alla partenza. Prima, però, è di rito il galoppo finale e l’orchestra soffia il meglio che può. Terminato il ballo, i banditi, da persone educate, prendono congedo. Arrivederci, gridano, arrivederci un’altra volta!

Fuori pioveva e all’uscita i banditi si presero pure gli ombrelli…

Lapide

La targa scritta da Olindo Guerrini per ricordare i fatti del teatro di Forlimpopoli