Quando un “mostro” merita una mostra. Anno 1512: il “mostro” e la battaglia di Ravenna. Una pagina enigmatica ed emblematica di storia (prima parte)

Tutta la storia raccontata da Eraldo Baldini in due puntate

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La mostra Prodigy Kid, al MAR di Ravenna fino all’8 gennaio 2023, nell’ambito della VII edizione della Biennale di Mosaico Contemporaneo, trae il suo principale spunto da un evento e da una figura, cioè dalla presunta nascita del cosiddetto “mostro di Ravenna”. Da più di cinque secoli, e per la precisione fin dal 1512, tra alterne fortune e con differenti motivazioni e declinazioni, l’evento non ha mancato di interessare, suggestionare, prestarsi a “usi” diversi che hanno riguardato le sfere dell’iconografico, del simbolico, del metaforico, del politico, del religioso, del propagandistico, dell’artistico e del “narrativo” tout court all’interno, se vogliamo, di un genere che, per quanto assai mutevole nel tempo per forme e valenze, non conosce declino e mantiene viva l’attenzione per ciò che è in qualche modo “maraviglioso”, anomalo, perturbante.

Della mostra, oltre alle realizzazioni artistiche contemporanee di Francesco Cavaliere e Leonardo Pivi che trasfigurano il “mostro di Ravenna” in Prodigy Kid, a un disegno di Ulisse Aldrovandi pubblicato nel volume postumo Monstrorum historia (1642), dove sono presentati i due principali modelli iconografici attraverso cui la leggenda è tramandata (1), e ad «altre opere antiche per un dialogo, intessuto con cura dagli artisti, tra passato e presente» (un mosaico raffigurante una Sirena con amorino, un affresco che ritrae la divinità egizia Bes, un Putto in bronzo con maschera, un particolare di fontana raffigurante un cane ululante, ecc.), fa parte anche, rappresentandone il pezzo forte, un disegno di Leonardo da Vinci (1452-1519) tratto dal Codex Atlanticus conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, «testimonianza di grande fascino che rappresenta una creatura ibrida largamente aderente alla descrizione del Mostro di Ravenna». 

Leonardo

Il disegno di Leonardo da Vinci in mostra in questi giorni a Ravenna al Mar nell’ambito di “Prodigy Kid”

Prodigy Kid

L’opera di Francesco Cavaliere e Leonardo Pivi ispirata al Mostro di Ravenna in mostra a Ravenna nell’ambito di “Prodigy Kid”

 

In che modo la presunta nascita a Ravenna di un bambino deforme giunse alla conoscenza di Leonardo, e perché la cosa avrebbe dovuto interessarlo tanto da spingerlo a raffigurare quella creatura?

Prima di addentraci nell’argomento, forniamo sinteticamente risposte alle due domande: la prima è che il “mostro di Ravenna” ebbe velocemente una fama di larga diffusione in Italia e in Europa; la seconda, che rappresenta una motivazione della prima, è che quell’evento e quell’essere, a prescindere dal fatto che siano stati o meno reali e assecondando una tendenza dell’epoca, lungi dall’essere ritenuti una curiosità medica e scientifica assunsero significati di ben altra natura, a partire da quello metaforico e “profetizzante”, soprattutto perché la storia fece registrare, poco più di un mese dopo le prime notizie sul “mostro” e nel luogo stesso in cui questo sarebbe nato (2), un evento di grande portata e drammaticità, cioè la famosa “battaglia di Ravenna” dell’11 aprile (giorno di Pasqua) del 1512, combattuta tra la Lega di Cambrai e la Lega Santa, che oltre a presentarsi come estremamente cruenta (si parla di circa 15.000 morti) ebbe forte rilievo nelle cosiddette Guerre d’Italia della prima metà del XVI secolo, con conseguenze determinanti per gli equilibri, non solo politici, nel nostro territorio, nel Paese e nel continente (3).

Insomma, “mostro” e battaglia alimentarono sinergicamente l’uno la fama dell’altra, e riportarono il nome di Ravenna – città che in passato era stata per tre volte capitale ma che da secoli non era più in primo piano (se si esclude forse la vicenda dantesca) – all’attenzione generale; un’attenzione forse anche di livello popolare, perché non di rado le notizie scritte circolavano rapide e, aiutate da un efficace corredo iconografico, sapevano raggiungere per varie strade anche le masse non alfabetizzate, pronte a nutrirsi di immaginario, di “maraviglioso”, di resoconti in cui il naturale sconfinava nel soprannaturale trovandovi causa, forma, significato e appeal.

Soffermiamoci su questo. Cultura dotta e cultura popolare, scienziati e contadini, erano spesso accomunati in un ansioso osservare e decifrare. Se i primi ricorrevano alle antiche dottrine, alle elucubrazioni filosofiche e all’astrologia per interpretare i “prodigi”, il popolo non aveva bisogno che del segno in sé e della parola dei dotti per farne oggetto di profezie e di paure che, pur in epoche dotate di strumenti di comunicazione limitati, sapevano viaggiare veloci non solo di bocca in bocca, ma di città in città, persino di nazione in nazione. Lo studio e l’interpretazione dei signa, dei prodigi celesti, dei parti mostruosi, oltre a dar vita a un vero e proprio genere letterario divennero anche forti strumenti di propaganda e di potere: i segni venivano letti in chiave moraleggiante e ancor di più in chiave politica o religiosa, con taglio propagandistico, e piegati al volere e al bisogno di parte. Scrive Ottavia Niccoli: «Le cronache italiane fra Quattro e Cinquecento annotano di frequente le nascite mostruose, che sono annoverate fra i fenomeni giudicati esorbitanti dal naturale e considerati quindi come “segni” dell’ira divina e preannuncio di imminenti catastrofi» (4), come era stata opinione di Cicerone (5) (e di molti oltre a lui), secondo il quale i «mostri» sono chiamati così perché «mostrano» ciò che sta per avvenire.

Detto ciò, torniamo nello specifico al “mostro di Ravenna”. La prima testimonianza relativa alla nascita, a Ravenna, di un bambino gravemente deforme, appare nel diario di Sebastiano di Branca Tedallini, che registra l’evento in data 8 marzo 1512. Così annota da Roma quel cronista: “A dì 8 marzo. Come in Ravenna è nato di una monica et un frate un mamolo a questo modo che te scrivo. Haveva la testa grossa, con un corno nella fronte et una bocca grande; nel petto tre lettere come vedi qua: YXV, con tre peli allo petto; una gamba pelosa con una zampa de diavolo, l’altra gamba de homo con un occhio in mezzo alla gamba; mai homo se recorda simile cosa. Lo governatore della terra mandàne nella carta a papa Iulio 2°” (6)

Mostro di Ravenna
Mostro di Ravenna

Pochi giorni dopo, l’11 marzo, il fiorentino Luca Landucci dava a sua volta notizia dell’accaduto, scrivendo che a Ravenna «era nato d’una donna un mostro», e descriveva il bambino deforme allo stesso modo del Branca Tedallini con l’aggiunta di qualche particolare: «dove sono le poppe, aveva dal lato ritto un fio, e dall’altro aveva una croce e più in giù, nella cintola, due serpe, e dov’è la natura era di femmina e di maschio». Annotava anche: «Lo vidi io dipinto, e chi lo volle vedere, in Firenze» (7), chiarendo dunque che ne circolava un disegno.

La notizia e l’iconografia che la correda si diffondono velocemente e lontano. Già in data 20 marzo ne troviamo testimonianza in Spagna; a diramarla è una lettera che Pietro Martire da Anghiera invia al marchese Pietro Fajardo (8). È certamente a questa fonte che attinge Andrés Bernaldez per scriverne pochi mesi dopo (9): infatti entrambi gli estensori spagnoli si soffermano sugli stessi particolari della creatura (l’aspetto leonino della testa, il disegno di una mezzaluna sul torso, il membro virile di cane, il piede sinistro di rana o rospo, una delle gambe squamosa, ali di pipistrello) e dichiarano che l’informazione arriva direttamente da Roma. Sempre da Roma il materiale giunge al veneziano Marino Sanuto, che il 22 marzo testimonia nei suoi diari: «Item, mi fo mandato da Roma uno monstro nato in Ravena in questo ano et milesimo; cossa horenda, qual lì a Roma è stà butado a stampa» (10). In un paio di settimane, insomma, la notizia circola già largamente.

Con un iter e con implicazioni che vedremo domani, nella seconda e ultima parte di questo articolo.

(continua lunedì 24 ottobre)

Mostro di Ravenna

LE FONTI

1 – U. Aldrovandi, Monstrorum historia, Typis Nicolai Tebaldini, Bononiae 1642.
2 – Chi scrive ha già in precedenza dedicato pagine al “Mostro di Ravenna”: E. Baldini, Paura e «maraviglia» in Romagna, Longo, Ravenna 1988, pp. 205-215; Id., Ravenna 1512. La nascita del Mostro e altri segni e «prodigi», in E. Baldini, N. Cani, P. Compagni, Pasqua di sangue. La Battaglia di Ravenna, 11 aprile 1512, Longo, Ravenna 2012, pp. 119-141; Id., Tenebrosa Romagna, Il Ponte Vecchio, Cesena 2014, pp.111-138; Id., I misteri di Ravenna, Il Ponte Vecchio, Cesena 2015, pp. 73-78.
3 – Vasta è la bibliografia sul tema. Si vedano almeno i recenti 1512. La battaglia di Ravenna, l’Italia, l’Europa, a cura di D. Bolognesi, Longo, Ravenna 2014, e E. Baldini, N. Cani, P. Compagni, Pasqua di sangue. La Battaglia di Ravenna, cit.
4 – O. Niccoli, «Menstruum quasi monstruum»: parti mostruosi e tabù mestruale nel ‘500, «Quaderni storici», n. 44, agosto 1980, pp. 402-428: 403. Della stessa Autrice si vedano anche Id., Il mostro di Ravenna: teratologia e propaganda nei fogli volanti del primo Cinquecento, in Ravenna in età veneziana, a cura di D. Bolognesi, Longo, Ravenna 1986, pp. 245-277; Id., Profeti e popolo nell’Italia del Rinascimento, Laterza, Roma-Bari 1987, pp. 47-87; Id., Capi e corpi mostruosi. Una immagine della crisi del potere agli inizi dell’età moderna, estr. da «Micrologus», XX (2012), pp. 1-20; Id., Voci, scritture, stampe per la la battaglia di Ravenna, in 1512. La battaglia di Ravenna, l’Italia, L’Europa, cit., pp. 223-235.
5 – Marco Tullio Cicerone, De divinatione, I, XLII.
6 – S. di Branca Tedallini, Diario romano dal 3 maggio 1485 al 6 giugno 1524, a cura di P. Piccolomini, in «Rerum Italicarum Scriptores», XXIII, III, pp. 231-446: 327.
7 – L. Landucci, Diario fiorentino dal 1450 al 1516, a cura di J. Del Badia, Sansoni, Firenze 1883, p. 314.
8 – Opus epistolarum Petri Martiris Anglerii, Typis Elzevirianis, Amstelodami 1670, p. 256.
9 – A. Bernaldez, Historia de los Reyes Catolicos, don Fernando y doña Isabel, Imprenta que fué de J.M. Geoffrin, Sevilla 1870, II, p. 373.
10 – M. Sanuto, Diarii, Tipografia del Commercio di M. Visentini, Venezia 1879-1903, XVI, col. 200.

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